2019-03-13T08:13:53.000Z

“sofferenza, potermi godere questi momenti.
Quando l’ho raccontato a un amico dottore, lui ci ha tenuto a spiegarmi che era tutto inutile, che queste cose non servono a niente, che è solo tempo sprecato.
M: «Beh, ma se la neurologa dice che è una cosa che può aiutare, non vedo perché non dovrei portarcela.»
D: «Perché tanto è inutile, tua madre non può guarire.»
Inutile come spiegare che, anche se l’Alzheimer non ha una cura, non per questo dobbiamo chiudere in casa il malato e nasconderlo al resto del mondo. Mia madre continua a provare delle emozioni, dei sentimenti, resta comunque una persona, anche se diversa da quella che è sempre stata. E quello che di buono faccio per lei, anche se non ha la minima idea di chi io sia, so che le arriva. E questo mi basta.

Quando entriamo nel Cafè Alzheimer, ci sediamo sulle poltrone grigie, in attesa che tutto abbia inizio. Siamo tra i primi ad arrivare e, per tenere calma Lucia, le ho detto che siamo qui perché il Comune ha organizzato una festa per chi ha compiuto ottant’anni.
L: «E quindi è anche per me?»
M: «Certo! Dal Comune hanno chiamato perché volevano ci fossi anche tu.»
In realtà, il Comune non c’entra nulla. Il Cafè Alzheimer dove porto Lucia è organizzato dalla Fondazione Manuli. Da quando mia madre ha avuto la diagnosi, ormai quattro anni fa, nessuno me ne ha mai parlato. È una delle realtà milanesi che aiuta le famiglie, a titolo gratuito, cercando di colmare le lacune di uno Stato assente.

(…)

Quando torniamo a casa, mia madre ha ancora l’adrenalina in circolo e vorrebbe di nuovo andare a ballare. La convinco a salire in ascensore e accendo subito la televisione su uno dei canali che trasmettono musica da balera. Dopo qualche minuto si quieta e inizia ad applaudire quasi a tempo. Mangiamo e poi, mentre sparecchio, mi chiede: «Ma dobbiamo lasciarla accesa?»
M: «Che cosa?»
L: «La cosa qua.»
M: «Intendi la televisione?»
L: «No.»
M: «E cosa?»
Lucia indica la ragazza che sta cantando, con le spalle scoperte e dice: «Quella spogliata là dentro.»
M: «No.»
L: «La lasciamo là?»
M: «No, poi quando finisce di cantare se ne va e a noi non interessa dove, è un problema suo», rispondo iniziando a capire che quella presenza femminile la mette a disagio.
L: «E tu?»
M: «Io vado a letto dopo.»
L: «E lei no?»
M: «No. O comunque, non con me e non qui.»
L: «Allora va bene. Che a me quella non piace.»
M: «Ma adesso finisce di cantare e se ne va.»
L: «Meglio. Se no ti prendo e ti butto giù.»
M: «E che c’entro io?»
L: «Ah, no? Tu non c’entri? E che, quella sta qua per me?»”

Link: Caregiver Whisper 62

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