April 04, 2018 at 01:45PM

“Mi spiegano che c’è una prima fase, quella “primitiva”, in cui il malato dimentica le cose e inizia a perdere la memoria; questa è la fase più gestibile. Dura di solito intorno ai tre anni e solo un occhio attento può capire che qualcosa non torna: è la fase che mio padre ha vissuto in solitaria.
«Di norma viene ben tollerata e, quasi sempre, è il coniuge anziano che riesce a compensare e a governare la situazione.»
Poi il dirigente cita degli studi “interessanti” che dimostrano come i coniugi che si occupano di un malato di demenza, nella maggior parte dei casi (e le percentuali sono davvero elevate), si ammalano e vengono a mancare. In questa fase, se non è la malattia del coniuge, avviene comunque qualcosa che, all’improvviso, rompe l’equilibrio. Nel caso di Lucia sono stati i ricoveri (quasi) contemporanei di mio zio – suo fratello – e di mio padre.

Dopo l’operazione di Sebastiano, Lucia è entrata nella seconda fase, quella collegata ai disturbi comportamentali, nei quali rientra la difficoltà a riconoscere le persone. Solo chi non frequenta la famiglia può pensare che la malattia sia cominciata improvvisamente, ma così non è.
«Il malato di alzheimer non ha consapevolezza della malattia e così riversa il suo stress all’esterno: ecco perché non è di certo lui che non riconosce il coniuge ma è quest’ultimo che non è chi dice di essere. In questo percorso, faticoso, si cerca di limitare i problemi caratteriali con i farmaci – questo perché, non di rado, la malattia scatena l’aggressività dell’individuo – ma per tutti gli altri aspetti è il contesto che deve essere in grado di contenere la situazione.»
A questo punto interviene l’assistente sociale che aggiunge: «E dagli scambi tra lei e la neurologa, mi pare di poter dire che lei ha puntato molto sugli aspetti di contenimento della relazione, cercando strategie e organizzandosi, creando relazioni e adattando l’ambiente intorno a sua madre. Su questo ha fatto un investimento importante e faticoso, e non è una cosa da tutti.»
Guardo la sedia vuota alla mia sinistra e penso che è proprio vero: non è una cosa da tutti.

Ora Lucia ha concluso la seconda fase ed è entrata in quella più faticosa da gestire, dove l’unica domanda che ci si pone è «fino a quando potremo gestirla a domicilio e con quali modalità?».
Questa, continua, è la fase cosiddetta “internistica” della malattia, caratterizzata da problemi funzionali.
«Come ha notato, c’è un maggior rischio di cadute dovute a un equilibrio ormai precario che in parte è determinato dai farmaci e in parte dall’avanzare della malattia. Ma lo sa meglio di noi che se sua madre non assume i farmaci, la gestione diventa impossibile.»” Link: Caregiver Whisper 19

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