Dieci riflessioni sui concerti dei King Crimson alla Fenice

Scritto per King Crimson Italia in stato estatico dopo i concerti del 27 e 28 luglio 2018 alla Fenice

Foto di Stefano Menin

#1 Il risotto.
Avete presente il risotto?
Quando si fa il risotto se ne fa sempre più del necessario. Il primo piatto di risotto si mangia di fretta, per sfogare la voglia di averlo cucinato, il desiderio che si era fatto strada dal momento in cui avevamo pensato “stasera faccio un risotto!”. Il secondo piatto invece si gusta una volta soddisfati dal primo, già sazi o quasi. Si va a prendere il riso attaccato alla pentola e si scopre che è quello più buono. Un po’ scotto magari, o bruciacchiato, però sorprendentemente gustoso. A fine pranzo è quel secondo piatto di risotto che ricorderai veramente perché eri già soddisfatto, già felice e lui ti ha dato un surplus di felicità.
Vedere entrambi i concerti dei King Crimson a Venezia è stato come un risotto. La prima sera mi ha soddisfatto, esaudito, saziato. La seconda mi ha dato un surplus di sostanza che mi ha permesso davero di leccarmi i baffi alla fine.

English translation (this one would be pretty hard to mangle)

Risotto
Do you know Risotto?
When you cook risotto you always prepare some more than you need. Because the first dish of risotto you’ll eat it fast, to fulfill the desire you had while you were cooking, the desire you had in mind since you had the idea “let’s cook risotto today!” The second dish is the one you taste once you’ve been satisfied by the first one, almost sated. You go and take the rice at the bottom of the pot, realizing that’s the best one. Maybe a bit overcooked, or burned, but surprisingly tasty. At the end of the lunch it’s the second dish the one you’ll really remember because you were already satisfied, already happy and it gave you an excess of happiness.
Attending at both King Crimson concerts in Venice has been just like risotto. The first night satisfied, fulfilled, sated me. The second one gave me an excess of substance that allowed me to really lick my fingers* at the end.

*in italian is “lick my moustache”, which is actually more suitable to risotto 😉

#2 La sicurezza.

Ieri sera, la seconda sera in Fenice, mi ha colpito la sicurezza che la band ha dimostrato sul palco. Nelle precedenti tre volte in cui avevo visto i King Crimson a 7-8 teste avevo sempre avuto l’impressione che ci fosse nell’aria un minimo di incertezza, una lieve paura che qualcosa potesse andare storto; una paura più che giustificata dato che questa incarnazione dei King Crimson vive sul filo del rasoio, nel rischio che un batterista sbagli un’entrata o che la front-line e la back-line di disallineino in qualche modo.

Ieri sera non è stato così. Nell’aria si percepivano l’eccitazione di essere alla fine del tour, l’entusiasmo di avercela fatta attraverso mezza Europa, la voglia di riscatto di Jakko che la prima sera era stato male ma soprattutto si respirava una grande sicurezza. Gli otto musicisti sul palco si sono sono fatti innumerevoli sgambetti ritmici e melodici, hanno giocato gli uni con gli altri come le grandi band e le grandi incarnazioni di Crimso hanno sempre saputo fare, e in questo modo hanno trascinato il repertorio su, su e ancora più su. Non importava cosa stessero suonando, in tutti i brani sono riusciti a inserire qualcosa che mi ha fatto pensare “wow, non pensavo sarebbero riusciti a fare tanto”

L’apice è stato – manco a dirlo – Starless.
Starless è un brano costruito su una serie di tira-e-molla di tensione musicale. Ogni sezione accumula dell’energia che viene sfruttata dalla sezione successiva per far decollare il pezzo e portarlo sempre più in alto, in direzione dell’esplosione finale. Se tutte le parti vengono eseguite a regola d’arte e soprattutto con la giusta attitudine si ottiene un magma di energia sonora immenso, pronto a esplodere nella ripresa del riff iniziale. Ieri sera per la quinta volta ho sentito Starless suonata dai King Crimson e per la prima volta ho udito nitidamente tutti i passaggi di questa continua crescita di energia incastrarsi l’uno nell’altro alla perfezione. Jakko durante la prima parte del solo-di-una-nota-sola non sembrava pensare “oddio adesso sbaglio. E se sbaglio?”, guardava invece TLev e sembrava pensare soltanto a quanto era figo quello che stavano facendo insieme. Jeremy durante la ripresa della batteria nella parte centrale, che suona da solo (a testimonianza di quanto sia il perno della formazione a 7-8 teste), non sembrava pensare “oddio, sto facendo la parte di Bruford, ce la farò? Dove cadrà l’accento nella prossima battuta?”, sembrava soltanto pensare a come portare il brano ancora più su. E così facendo l’ha portato ancora più su.

Queste cose succedono, secondo me, solo nel momento in cui la band è consapevole di poter fare quello che fa e anche ciascuno dei suoi membri lo è. Come i Kata nel karate – che quando li si riesce a eseguire sovrappensiero ci si può concentrare sul senso che c’è dietro a ciascun movimento – così ho avuto l’impressione che ieri ciascuno dei musicisti potesse concentrarsi più sul senso di ciò che stava suonando e sull’apporto che avrebbe dato alla musica anziché sulla singola nota.

Mi piace pensare che questa band possa arrivare ancora più in alto di così, anche se non riesco a immaginarlo. Ieri sera ho sentito toccare una vetta talmente alta che mi rende felice anche il solo pensare che possano arrivarci di nuovo. Perché dalla consapevolezza di sé non si ritorna indietro.

#3 Le tre batterie, i tre batteristi

Ad ogni successivo concerto di questi “nuovi” King Crimson a 7-8-X teste mi meraviglio di più dell’interazione dei tre batteristi. Metterli nella linea anteriore sul palco non è solo un gesto coreografico o un favore al pubblico (anche se probabilmente È anche questo) ma un modo per fare almeno due cose:
1- mettere in difficoltà la band. Suonare con tre batteristi dev’essere difficilissimo, suonare con tre batteristi che ti danno le spalle è quasi impossibile. Proviamo a pensarci un attimo quando ascoltiamo live in Orpheum, Toronto, Vienna o Chicago: quella che stiamo ascoltando è una band nella quale chitarristi, bassista e fiatista suonano con tre batteristi che danno loro le spalle. E suonano quel repertorio lì. Rendiamoci conto.
2- sottolineare la prima rivoluzione di questa band, la prima radical action: ampliare il concetto di Double Drumming in “Crafty” drumming, suddividere il pensiero dei batteristi, costringerli a mettersi in relazione tra di loro. I batteristi dei King Crimson sono costretti non solo ad ascoltare cosa accade dietro di loro ma anche ad ascoltarsi l’un gli altri e agire, all’istante, di conseguenza. Se la batteria è la “foundation” del rock, lo strumento che fa da motore alla band, qui abbiamo un motore che non può in alcun momento prescindere dal resto della band. Avete presente i classici live in cui il batterista tira talmente tanto che la band lo rincorre (uno a caso dei Pearl Jam dal 2000 al 2016, ad esempio, che pure adoro)? Questo non può accadere nei King Crimson. Il movimento velocizzante o rallentante dev’essere corale, chi volesse muoversi da solo è destinato a destabilizzare la band e alla fine a tornare nei ranghi o causare un disastro. Anche per questo osservare Mastelotto, Stacey e Harrison è una meraviglia continua: sono tre batteristi – musicisti abituati a spingere il resto della band – che si mettono a servizio tra di loro e a servizio della band stessa. E lo fanno creando un gigantesco e meraviglioso casino.

#4 Jakko

Non sappiamo se venerdì Jakko avesse mangiato le cozze sbagliate o se avesse altri problemi, sta di fatto che quando su Level Five l’ho visto appoggiarsi al Solar Voyager di Fripp e poi addirittura scendere dal palco per detergersi e bere mi è venuto un coccolone.

“Cosa succede se un membro dei King Crimson sta male sul palco?”, mi sono chiesto. È mai accaduto prima? Boh. Mi sono domandato in rapida sequenza
– “E ora? Si parleranno?”
– “Se sta male, qualcuno parlerà al pubblico? Violando il sacro vincolo del silenzio onstage?”
– “E se sta molto male interromperanno il concerto?”
– “E se domani starà ancora male, salterà il concerto? Oppure faranno come il ProjeKct three ad Alexandria e suoneranno solo pezzi strumentali ri-arrangiati?”
– “Tutti questi pensieri mi stanno distogliendo dal concerto?”

Mentre pensavo queste cose Level Five era finita e Jakko stava affrontando con evidente difficoltà Starless e qui ha mostrato il valore della propria professionalità: non solo ha cantato il pezzo con la solita intonazione perfetta ma l’ha anche suonato – compreso il terribile solo centrale – alla perfezione. Non è stata raggiunta la potenza della sera successiva ma si è trattata ad ogni modo di una ottima versione di Starless. Lo stesso dicasi per Schizoid man, nella quale Jakko deve impersonare la parte vocale di Lake ma è anche alle prese con un bello e complesso assolo-a-due-voci con Fripp che varrebbe il pezzo del biglietto. Anche qui, nonostante fosse corso nel backstage prima del bis e tornato con la cravatta moooolto allentata, Jakko ha “consegnato”, come direbbero gli anglofoni. Ha svolto il proprio compito perfettamente.

Al di là di tutte le critiche comprensibili (sul fatto che il suo stile piaccia o meno) o incomprensibili (sulle sue capacità, che sono evidenti) gli va dato atto di una professionalità fuori dal comune. Penso che prima di venerdì nessuno fosse sceso da quel palco durante lo show, eppure se qualcuno ascoltasse una registrazione della serata potrebbe non rendersi conto di ciò che è successo.

Chapeau, Jakko.

P.S. Per la cronaca, il giorno successivo Jakko ha recuperato ampiamente consegnandoci quella che secondo me è la migliore delle 5 sue performance alle quali ho assistito.

#5 Tony

Tony sabato sera in Fenice ha spaccato tutti i culi disponibili. Punto.

(for the manglers) Saturday night in Venice Tony kicked all the asses available. Full stop.

#6 Bolero

Il Bolero (+ The Peacock’s tale) mi ha fatto venire la pelle d’oca sia venerdì che sabato. I ripetuti assoli di Fripp nella parte che fu dell’oboe sono emozionanti e varrebbero da soli il prezzo del biglietto.
Penso che ci sia anche un’altra caratteristica molto crimsoniana in questa versione del Bolero: Harrison passa l’intera esecuzione del pezzo (6 minuti?) tenendo sul rullante il tempo di bolero che è alla base della canzone. Nel frattempo Pat Mastelotto swinga, divaga, fa il terrorista ritmico (vedi #7) e guida il pezzo avanti e indietro e su e giù. Nel frattempo Harrison non si scompone e continua con il suo esercizio di paradiddle sul rullante. Per tutta la durata del pezzo.

Ora, tutti lo saprete ma vale la pena sottolinearlo: Gavin Harrison è uno dei batteristi più abili e funambolici al mondo, in questo momento. Sicuramente uno dei grandi virtuosi della batteria degli ultimi trent’anni. Vedere un maestro “abbassarsi” a un fondamentale ed eseguirlo alla perfezione mentre intorno a lui succede di tutto mi ha ricordato di nuovo le arti marziali, nelle quali l’abilità di un praticante non è data dal grado ma dalla sua capacità di eseguire in ogni situazione e alla perfezione le tecniche basilari. Trovo che Gavin abbia dimostrato di essere un maestro più in quei minuti di bolero che nel (pur entusiasmante) assolo di Schizoid Man.

Foto di Stefano Menin

Foto di Stefano Menin

#7 P@t

Vi ricordate quando nel 1994 Bruford disse che avrebbe lasciato a P@t il compito di tenere il tempo, riservandosì così il ruolo di “terrorista ritmico”?
Ventiquattro anni dopo (gosh!) possiamo vedere che P@t è cresciuto, cresciuto così tanto da essere egli stesso il terrorista ritmico.
In Fenice l’ho visto navigare nel tempo (nel senso di tempo musicale), ondeggiarci dentro, stare comodo anche nei passaggi più obbligati e nei metri più assurdi, e da questa comodità tirare fuori con una fantasia apparentemente infinita ogni sorta di suono e di soluzione ritmica. Soprattutto ieri sera l’ho visto più in forma che mai, senza un briciolo di stanchezza per le tante serate del tour e soprattutto mai schiavo di ciò che abbiamo già sentito. Nemmeno nei pezzi in cui era lui stesso a suonare in origine!
In questo P@t mi sembra aver assunto un ruolo simile a quello di Mel: in certi momenti ha lui il timone e suona delle parti “obbligate”, sempre con fantasia e dinamismo, ma in altri momenti è evidente come si senta completamente libero di spaziare e di suonare – o non suonare – quello che vuole quando vuole.

Non ho mai visto un batterista crescere così tanto (all’epoca di THRAK aveva già 39 anni!!!). Quando vi dicono che i musicisti fanno le proprie cose migliori nei propri twenties e poi calano, beh, pensate a lui. Ieri sera è stato secondo me l’uomo della serata.

#8 Highlights

Dopo cinque anni di tour è bellissimo notare la crescita pazzesca che hanno avuto due brani come The Letters e Indiscipline.

The Letters si è allungata di oltre due minuti (confrontare Orpheum e Chicago per credere) e nel mezzo presenta il più bel crescendo di tensione di tutto lo show. Indiscipline invece in due soli anni è passata dal rango di “bella versione” a “grande classico”: l’introduzione di batteria sfrutta appieno la relazione tra i tre membri della front-row e ne palesa le capacità ormai telepatiche. Se nel 2016 facevano per lo più delle sezioni in cui ognuno integrava la parte iniziata dall’altro ora riescono davvero a farsi ripetuti sgambetti, com’è nel senso del pezzo, e ad alzare la tensione fino all’esplosione del “ritornello”. Che magia.

#9 i Crimsoniani de fero

Che su Kc Italia siamo dei fighi non è una novità però è sempre bello averne la riprova. Incontrarvi in corte de l’Orso e alla Fenice è stato bellissimo ed è stata l’ennesima dimostrazione di quanto vedersi dal vivo sia ancora più bello che stare qui a parlare dell’amore per la musica dei Kc. Grazie di esserci stati, con voi è stato ancora più bello 😉

#10 Hot date?

Disclaimer: con questo post mi allargo. Vi ho avvertiti.

Questi sono i pezzi che i Kc suonarono all’Egg Theatre di Albany nel settembre 2014 in occasione delle prime date dei KC Mark VIII.

1- Larks’ Tongues in Aspic, Part One
2- Pictures of a City
3- A Scarcity of Miracles
4- The ConstruKction of Light
5- One More Red Nightmare
6- Interlude
7- Hell Hounds of Krim
8- Red
9- The Letters
10- Level Five
11- Banshee Legs Bell Hassle
12- Sailor’s Tale
13- The Light of Day
14- The Talking Drum
15- Larks’ Tongues in Aspic, Part Two
16- Starless
17- Hoodoo
18- 21st Century Schizoid Man
19- VROOOM
20- Coda: Marine 475

Questi i brani suonati alla Fenice tra venerdì e sabato
1- Larks’ Tongues in Aspic, Part One
2- Peace: An End
3- Pictures of a City
4- Cadence and Cascade
5- Cirkus
6- Bolero
7- Dawn Song
8- Last Skirmish
9- Prince Rupert’s Lament
10- The Letters
11- Larks’ Tongues in Aspic, Part Two
12- Moonchild
13- Bass & Piano Cadenzas
14- The Court of the Crimson King
15- Hell Hounds of Krim
16- Neurotica
17- Indiscipline
18- Islands
19- Easy Money
20- Radical Action (To Unseat the Hold of Monkey Mind)
21- Level Five
22- Starless
23- 21st Century Schizoid Man
24- Epitaph
25- Discipline
26- One More Red Nightmare
27- Red
28- Meltdown

Ci sono ben 16 canzoni suonate alla Fenice che nel tour del 2014 non erano ancora in scaletta. In questi anni abbiamo visto non solo una band che si è evoluta ma anche un repertorio che si è allargato, espanso fino ad includere qualsiasi incarnazione in più e più aspetti.

Robert Fripp sostiene spesso che i concerti dei Kc siano una “Hot date”, un appuntamento, mentre i dischi in studio rappresentano una “Love letter”. L’impressione che ho è che i concerti di questa band, diciamo dal 2016 in poi, siano qualcosa di diverso da una hot date. Rappresentano più un’uscita con una fidanzata/moglie/marito/compagno/a che conosciamo da molto tempo e con cui c’è un sentimento che deriva anche dalla comprensione della reciproca crescita, dalla conoscenza dei limiti l’uno dell’altro/a e dal ricordo comune degli errori passati. Ascoltare il nuovo arrangiamento di Red ieri sera ad esempio è stato bello anche perché conosciamo quello diverso usato nei tour 2014-17.

Chi è in questo gruppo dai primi giorni ricorderà lo stupore nel vedere le scalette dei primi show, i pezzi “impossibili” in scaletta come One more red nightmare, Starless o Larks’ I.  Proviamo a pensarci un attimo adesso, quando riusciamo a non sorprenderci se inizia Easy Money, Cirkus o Neurotica. Questa formazione a 7-8 teste è di gran lunga l’incarnazione dei Kc più longeva in assoluto essendo ormai attiva e in tour da 5 anni; la crescita della band, del repertorio e della qualità delle performance è stata costante e ci ha portati pian piano a dove siamo ora. Abbiamo avuto per ben sette date in Italia la band migliore del mondo, non possiamo che ritenerci fortunati.

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1 commento su “Dieci riflessioni sui concerti dei King Crimson alla Fenice

  • I giornalisti che si occupano di musica dovrebbero avere delle nozion.
    Non si può recensire un concerto con una linea compositiva di questo genere, senza sapere di cosa si sta parlando.

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