I primi tre album di Kate Bush formano un unicum sonoro. Gli arrangiamenti non sono ancora quelli più elettronici e stratificati (e anniottanta) di The Dreaming o Hounds of love e risentono ancora di un gusto pop-rock anni settanta. La band è una specie di spin-off dell’Alan Parsons Project, con Ian Bairnson e Stuart Elliot più una schiera di comprimari e sessionmen. Il tutto passato attraverso il filtro di una produzione certosina che crea un’atmosfera soffusa come quella della copertina di Lionheart.
Ecco, a dispetto del contenuto delle canzoni a volte disturbante e della loro struttura volutamente sghemba gli arrangiamenti sono rassicuranti, accoglienti come non saranno più nella carriera di Kate fino forse a 50 words for snow. C’è molto pianoforte, molta batteria acustica NON riverberata e NON triggerata, la voce è sottile e spesso accompagnata da cori.
The kick inside, Lionheart e Never for ever sono tre bei dischi da ascoltare insieme, mescolandoli un po’ e divertendosi a riconoscere i piccoli cambiamenti tra uno e l’altro.
Ci vorrebbe una playlist, no?
Allora eccola. Prego.