King Crimson, 2016-09-03, Aylesbury, UK

Sono rimasto stupito, durante il concerto del 3 settembre ad Aylesbury. Sono rimasto stupito dalla coesione e dalla potenza di questa band.

Avevo già visto i Kc l’anno scorso e un po’ sapevo cosa aspettarmi, in più immaginavo che in uno show di riscaldamento ci sarebbero stati un tot di errori e in generale avrebbero suonato con il freno a mano tirato. Ebbene, se quello che ho visto sono i Kc Mark 8.1 con il freno a mano tirato, non oso immaginare come diventeranno una volta rodati. Leggere le recensioni di Antonio riguardanti gli show di Stoccarda e Berlino mi dona ulteriore  speranza, dato che lui era dietro di me ad Aylesbury quella sera: se dice che sono addirittura migliorati vuol dire che sono davvero a livelli stellari.

La Front Row ripresa a fine concertoLa sensazione che ho avuto ad Aylesbury è stata quella di una band nella quale tutti, tranne il nuovo Jeremy, hanno perfettamente interiorizzato il repertorio. Non ho mai avuto l’impressione di trovarmi davanti ad un gruppo ad incastro, nel quale far coesistere a fatica le due anime della front-row percussiva e della back-row melodica. Quella difficolta di fondo, che si nota palesemente in Orpheum, molto meno nel live di Toronto e in Radical Action ma che avevo comunque percepito a Londra un anno fa, sembra essere scomparsa. I King Crimson del 2016 sono giunti dove non pensavo che sarebbero potuti arrivare: riescono ad avere il tiro e la potenza di un power trio e i mezzi espressivi di un settetto di musicisti.

La confidenza con il materiale si vede da tanti piccoli indizi: Mel, ad esempio, ritarda oppure anticipa i propri interventi, oppure decide di suonare un pezzo o di non suonarlo (come in Tcol su Radical Action). Gavin Harrison suona meno, eppure paradossalmente lo si sente di più. I suoi interventi sono più incisivi ed inserisce più dinamica nei pezzi, introducendo quel tension-and-release che mancava dai tempi di BillyB e che nessuno aveva ancora avuto il coraggio di infilare in questa formazione. Un esempio: c’è stato un momento durante il concerto – perdonatemi se non ricordo quando – in cui Gavin ha tenuto per un minuto abbondante un tempo del tutto diverso – e più lento – rispetto a quello del pezzo e da quelli tenuti dagli altri batteristi, con i quali si incrociava solamente ogni tot battute. E dal modo in cui l’ha fatto si vedeva che si divertiva, e che non c’era molto di preparato in quel gesto. Sono cose come questa che danno l’idea della solidità della band, nonché dell’abilità impressionante di Gavin.

Il componente del gruppo che ha avuto una crescita più evidente è Tony Levin. Dal 2014 mi chiedo: qual è la posizione di un bassista all’interno di una band con tre batteristi, per giunta seduti più avanti di lui? In che modo può entrare a far parte di una sezione ritmica? La risposta nel 2014 e nel 2015 è stata semplice: non ci entrava affatto. Tony era palesemente un pesce fuor d’acqua in Live at Orpheum e anche in Toronto non si può dire che esprimesse le sue enormi qualità nel migliore dei modi. Oltre a questo faticava anche ad emergere nel mix, data la grande mole di frequenze basse emesse dai timpani e dalle grancasse del batterista-con-dodici-arti davanti a lui.
Ebbene, quest’anno TLev è riuscito a trovare il proprio ruolo. Rimane abbastanza sepolto nel mix ma emerge più spesso, sia durante le parti soliste (VROOOM, Tcol) che in quelle corali. Finalmente l’ho visto rilassato, anche nei pezzi più ostici come Tcol o nelle canzoni del periodo Wetton che tanto l’avevano visto arrancare negli scorsi anni. Perfino su Starless è stato palesemente più sciolto durante la sezione centrale: l’impressione non era quella di avere davanti un bravo studente che ha studiato di più e finalmente sa ripetere il compito, bensì un artigiano che dopo tanta pratica ha ormai capito come svolgere certe operazioni talmente a fondo che riesce a metterci un tocco personale. Grande Tony!

L’impatto della band nel complesso è di enorme potenza, anche sonora: nella prima parte del concerto in certi punti ero perfino infastidito a causa del volume altissimo (invecchio io oppure invecchiano loro e diventano sordi?). La scaletta del tour si è allungata di una buona mezz’ora rispetto alla media del tour 2015 ma ci sono pochi momenti di calma nel set. Con rari cali di ritmo (Epitaph, The Letters) e tantissimo rotolare di tamburi i Kc del 2016 sono una band fortemente percussiva ma non incentrata solo sul ritmo: le batterie vengono usate in tutti i modi possibili ed assumono un ruolo che va molto oltre la guida ritmica dei singoli brani.
Come ha osservato Martina dopo il concerto, Pat è la guida morale del gruppo: mai impaurito, mai con un attimo di tentennamento, rimane concentratissimo anche nei momenti in cui non suona una nota e si ferma per osservare il lavoro degli altri. Durante tutto il resto del tempo si getta sul kit come un orso, diventando davvero un epigono di Jamie Muir se non dal punto di vista sonoro sicuramente da quello umano. Che stia tenendo un 4/4 lento come all’inizio di Starless oppure un tempo impossibile durante Level Five, i suoi movimenti e l’espressione sul viso trasmettono contemporaneamente una grande serenità e rilassatezza e una decisa risolutezza. Un batterista marziale.

Di tutte le sorprese però ce n’era una annunciata: Jeremy Guccio Stacey!
Il povero Jerry la sera del concerto di Aylesbury era assolutamente terrorizzato: durante il concerto ha continuato a cercare con lo sguardo gli altri membri della band, soprattutto Gavin, evitando nel contempo di incrociare le occhiate di HRVL che però, va detto, non sembrava affatto preoccupato. Diversamente dai suoi compagni di palco faceva trasparire la sua mancanza di confidenza con il repertorio, soprattuto in alcuni brani in cui era facile scorgerlo mentre contava le battute: l’impressione che ho avuto è che non avessero avuto moltissimo tempo per provare tutti quanti insieme e che il buon Jerry si sentisse parecchio fuori luogo nel contesto complesso del triple-drumming. Fino a metà concerto i suoi interventi sono stati puntuali ma non sempre efficaci, con alcuni errori palesi anche se recuperati in fretta. Dopo Fracture è sembrato più rilassato, del resto si tratta di un bel banco di prova, ma il vero cambiamento è avvenuto su Sailor’s tale. Inaspettatamente, all’inizio del pezzo dopo il solito scambio di colpi sul ride gli altri batteristi si sono fermati, lasciando a Jerry il compito di portare avanti la baracca. Ebbene, una volta libero dalla responsabilità di doversi incastrare con i due compagni Jeremy si è scatenato, portando Sailor’s tale a nuovi, incendiari livelli. Lo stesso è accaduto alla fine del concerto, durante Schizoid Man. All’inizio di Mirrors, nel momento in cui la melodia si scioglie per lanciare l’assolo di Fripp, nuovamente i due batteristi laterali si sono totalmente fermati per lasciare spazio a Jeremy, il quale non ha fatto per niente rimpiangere il buon Michael Giles: preciso, potente e creativo. Per il resto del concerto la sua performance è rimasta su livelli più sommessi, alternando momenti in cui sapeva cosa fare ad altri in cui evidentemente non ne aveva idea, tanto da limitarsi a toccare i piatti ogni tanto per dare un po’ di colore. Non che ci sia qualcosa di male in questo, chiaramente, anzi è esplicitamente consigliato da HRVL stesso: “If you still don’t know what to play, play nothing.”

Quando Tony tira fuori la macchina fotografica, anche noi possiamo tirarla fuori. E il Venal Leader?Sia alla fine del primo set che alla fine del concerto Jeremy è sembrato di gran lunga il più felice di essere arrivato – vivo e integro – alla fine. Tale era la fretta di buttarsi dietro le spalle la serata d’esordio che ha addirittura anticipato di qualche secondo il finale parossistico di schizoid man, alzandosi in piedi per picchiare sui piatti prima che Gavin e Pat fossero pronti per farlo.
L’impressione è stata quella di trovarsi davanti ad un musicista bravo ma ancora incerto riguardo al proprio ruolo nella band. Dai resoconti che leggo mi sembra di capire che già nelle prime date del tour vero e proprio è andato migliorando, tant’è che una delle selezioni gratuite in download è proprio la versione di Aylesbury, due giorni dopo, di Sailor’s tale.

Riguardo ai brani suonati è difficile eccepire in una scaletta contenente così tanti capolavori. L’essere alla seconda esperienza live con questa band mi ha permesso di essere più attento ai dettagli e meno stupito dall’inclusione di certi brani e ho potuto notare come non tutte le canzoni, in realtà, siano adatte ad essere suonate da questa band: paradosalmente sono i pezzi più melodici come Epitaph e In the court of the Crimson King a soffrire di più, forse perché sono canzoni molto strutturate e con pochissimo spazio per l’improvvisazione.

I tre nuovi brani veccchi mi sono sembrati tutti molto adatti alla band, e riarrangiati con grande perizia: Cirkus non è molto diversa dalle mille versioni live con Boz che conosciamo, con la differenza che c’è il triplo dei batteristi a scandire l’incedere dinosauroso del pezzo, mentre Dawn Song viene resa ancora più rarefatta dalla voce di Jakko, priva del soul che aveva Gordon Haskell. Nel complesso due bellissime versioni, ammetto che ero emozionato al pensiero che stavo sentendo Cirkus suonata dal vivo per la prima volta dopo 35 anni e Dawn Song per la prima volta in assoluto.

E Fracture?
Durante Fracture ammetto che ero troppo incredulo, sorpreso e appagato per potermi concentrare sui singoli membri della band: quel che mi sembra ricordare è che sì, l’arrangiamento comprende delle parti di sax e sì, Fripp suona il moto perpetuo da solo e senza scambiarsi le parti con Jakko come fanno su Starless. Il moto perpetuo però mi sembra in una tonalità diversa rispetto all’originale, forse hanno trasposto Fracture per renderla suonabile anche da Bob con il New Standard Tuning?
Ah, ovviamente Robert ha tenuto fede alla tradizione e ha suonato Fracture con molto trasporto ma senza dare alcuna impressione di difficoltà o di concentrazione superiore al solito. Incredibile. Come del resto è stato Bob durante tutta la durata del concerto: incredibile e infuocato. E talvolta pure divertito.

Bello 'sto posto!E Jakko? Jakko per me è trasparente. Canta bene ma non mi trasmette nulla. Suona benissimo ma non mi emoziona. È necessario per avere una band completa, per poter suonare Starless e per fare pezzi cantati, però è l’elemento della band la cui personalità è meno evidente. Emerge nei brani nuovi, Meltdown e Suitable grounds soprattutto, che sembrano delle vie di mezzo tra il Jakko-pensiero e i riff crimsoniani. Peccato non si tratti di pezzi memorabili, anzi, però almeno questi Kc dimostrano di aver voglia di presentare non solo brani vecchi.

Tenendo conto dei pezzi di sola batteria durante lo show di Aylesbury sono stati suonati 7 brani nuovi su 23, ovvero quasi uno ogni tre. La durata ovviamente gioca a favore dei brani vecchi, però comunque si tratta di un segno di speranza per un futuro re cremisi non troppo dedito alla nostalgia.

In realtà il brano più inatteso è arrivato nei bis: Heroes, cover di Bowie eseguita dai Kc nel tour del 2000, riproposta per la prima volta dalla formazione a sette. Una buona cover, arrangiata in maniera stratificata come è giusto che sia per Heroes. E poi suonarla al Riverside Theater, luogo di residenza del Friars Club che fu punto di riferimento sia per Crimso che per Bowie, aggiunge ulteriore valore.  Ancora più gradita è stata, per me, la incendiaria versione di 21st century schizoid man che ha chiuso il concerto: non solo per la sezione guidata dal solo Jeremy di cui ho già parlato ma soprattutto per l’assolo di Gavin Harrison. Odio gli assoli di batteria ed avevo trovato il lunghissimo assolo di 21csm del tour 2015 un tedio, nonché una palese interruzione della tensione naturale della canzone. Ebbene, ad Aylesbury Gavin ha avuto l’arguzia di suonare sì il proprio assolo, provando come sempre tutti i possibili ammenicoli sonori attaccati alla sua batteria, mantenendo per tutto il tempo il beat di Schizoid Man implicito. Questo ha permesso alla canzone di non perdere quota e anzi di ripartire all’ingresso di Fripp con ancora più vigore.

Finita Schizoid man, 23mo brano della serata, tutti a casa?

Io, David Cross e Alessandro Staiti

Ma anche no! Trattandosi di un concerto per parenti e amici tutta la band tranne Fripp e Collins si è presentata dopo lo show, con mia sorpresa, nell’atrio del teatro. Ho avuto così la possibilità di parlare per qualche secondo con un disponibilissimo Pat Mastelotto, uno stanco e assetato di caffè Tony Levin, più brevemente con uno stanchissimo Gavin Harrison e un girovagante Jeremy Stacey. A sorpresa – anzi grazie ad Alessandro – sono anche riuscito a scambiare qualche frase con un gentile, disponibile ed entusiasta David Cross! 🙂

Il consiglio, se potete, è di andare a vedere almeno un concerto di questo tour, meglio se due. Non c’è nessuno al giorno d’oggi che suoni così, non c’è nessuno che si prenda la responsabilità e il rischio di portare dal vivo questi brani in questa maniera.

Il re è vivo, viva il re!

Scaletta del concerto

Download gratuito di Easy Money dalla serata del 3 settembre

 

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