Starless #2: Zurich, 15 novembre 1973

Il secondo concerto integrale contenuto nel box Starless è quello tenutosi a Zurigo quasi un mese dopo lo show di Glasgow. Si tratta di una delle serate che erano stati al tempo registrate su nastro quindi la qualità audio è pressoché perfetta.

Lo show si apre con una breve improvvisazione nervosa che fa da ponte tra i frippertronics di sottofondo che anticipano l’inizio del concerto e usa focosa versione di Larks’ tongues in aspic part I. E’ un’improvvisazione particolarmente interessante per i suoni chitarristici di Fripp e per un’atmosfera tesa e apocalittica: sembra una Sus-Tayn-Z ante litteram, o più propriamente un anticipo di Requiem (il brano finale di Beat – 1982). Durante Larks’ risulta evidente come nel mix sia stato privilegiato il basso di Wetton rispetto agli altri strumenti, il che significa che con ogni probabilità questo show ci darà modo di sottolinearne le incredibili doti non solo vocali. Nella sezione quieta a metà del brano il consueto solo di violino viene accompagnato da una serie di accordi di chitarra con suono molto pulito, ricavandone un’atmosfera quasi pastorale decisamente inedita per il pezzo in questione.

Come già con lo show precedente, la tensione nell’ariaflive_in_zuf78b119b7c6da1d75519b1 aumenta quando Fripp informa il pubblico che la serata verrà registrata. Lament, prima canzone della serata sconosciuta agli spettatori, è proposta in una versione velocissima e galoppante: la parte centrale è funky come non mai e la sezione ritmica travolge l’assolo lancinante di Fripp prima di gettarsi nell’ultima strofa. Inaspettatamente, appena terminata Lament, Fripp propone al pubblico una versione sommessa di Peace, a theme simile a quella sentita a Glasgow, che anche in questa occasione viene interrotta dall’esplodere di Cat Food, retrocessa da Bis a “intermezzo noto” in mezzo a quelli che saranno quattro pezzi sconosciuti agli spettatori.
The Night Watch brilla di luce propria ma si intuisce come l’assolo centrale non sia ancora perfettamente a fuoco bensì venga messo a punto da Fripp sera dopo sera. Alla fine del brano succede qualcosa di strano: probabilmente per ovviare a un problema tecnico Bruford inizia un leggero ritmo scandito, che viene ripreso dagli applausi e dalle grida del pubblico. Un minuto di empasse, quindi, prima che inizi il familiare (per noi uomini del futuro) arpeggio di Fracture, che viene proposta già in versione priva dell’intermezzo che aveva caratterizzato la performance di Glasgow, quindi più simile alla forma finale a noi nota. Da notare invece il tema del Moto Perpetuo doppiato con il flauto (o è mellotron?) da parte di Cross intorno a 4:00-4:20.

Eccoci all’unica vera improvvisazione dello show con The law of maximum distress, una lunga divagazione di quasi 14 minuti suddivisa in tre parti. Si tratta in realtà di un’improvvisazione molto nota, dato che parte di essa finì (come sempre senza specificarne la natura) su Starless and bible black, e le altre due parti furono pubblicate su The Great Deceiver. L’incipit è rumoristico e si protrae per quasi quattro minuti nei quali viene accennato di tutto: ogni strumento prova a porsi in primo piano, a turno, ma sembra che nessuno abbia modo o intenzione di proporre una direzione precisa. A 5 minuti dall’inizio sembra difficile che il pezzo possa prendere una qualche forma, ma è Bruford a concretizzare iniziando a disegnare una serie di figure ritmiche sincopate e ondivaghe. Su di esse il resto della band prova a salire, ma sembra di assistere a un rodeo che finisce inevitabilmente con il disarcionamento di tutti gli strumentisti, fino a che anche Bruford si interrompe, limitandosi a degli accenni di timpano e tom su un tappeto di Mellotron che potrebbe essere una coda del pezzo e segnarne la fine. Così però non avviene ed iniziano quattro minuti di rapida costruzione a suon di basso fuzz e incisive note di chitarra: sono proprio questi momenti che saranno così apprezzati da Fripp da finire su disco, con alcune sovraincisioni vocali e di basso, con il nome di The Mincer. Ci vorranno anni perché agli ascoltatori fosse concesso sapere che quella che avevano sempre ritenuto un pezzo composto era in realtà un’improvvisazione ed è esattamente in questa veste – con tanto di parte vocale – che viene riproposta in Starless, essendo  andato smarrito il nastro multitraccia di questa sezione. I fan più accaniti però ricorderanno anche il finale di The Mincer, ovvero un taglio secco dovuto ad un nastro di registrazione concluso prima del tempo. Qui invece anche la parte successiva è presente e prosegue senza soluzione di continuità dal pezzo che tutti conosciamo: evidentemente negli anni il team della DGM deve aver recuperato il nastro mancante, oppure restaurato a regola d’arte un bootleg di altra origine.

Quello che succede dopo il finale di The Mincer è un discioglimento della tensione: Bruford propone un ritmo meno sincopato e per poco meno di un minuto la jam prosegue con dei brevi assoli di chitarra e violino prima di interrompersi bruscamente in un lungo finale cacofonico seguito da una coda eterea e rumoristica, non lontana da The Dream e The Illusion (in Moonchild, per chi non lo ricordasse).

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Lo show riprende quota e volume con un’infuocata versione di Easy Money, caratterizzata da un assolo centrale di Fripp fortemente concentrato sugli armonici e il pizzicato. L’effetto è particolarmente suggestivo e si arriva, volontariamente o meno, dalle parti di Cat Food. Soprattutto la ripresa del pezzo dopo l’assolo è interessante, intorno a 3:50 si può intuire il collegamento quasi telepatico che si è ormai creato tra Wetton e Bruford, i quali arrivano a completare spontaneamente l’uno le parti dell’altro. Exiles prosegue la scaletta con una performance non particolarmente memorabile che scioglie la tensione prima della sequenza finale.

Improv: some more pussyfooting prende lo spunto da un duetto di mellotron di Fripp e Cross per lasciare spazio alle percussioni di Bruford. Wetton entra successivamente, a quasi tre minuti dall’inizio, tentando di dare una struttura al pezzo ma è evidente che questo lugubre crescendo non ha intenzione di andare da nessuna parte: sembra quasi una prosecuzione delle atmosfere di The devil’s triangle ed è un raro esempio di improvvisazione spudoratamente rumoristica da parte di questa band. Funziona comunque molto bene come introduzione free al rigore ritmico di The Talking Drum, qui presentata con il violino preponderante e in evidenza. Larks’ II chiude le danze prima con la consueta scarica di adrenalina lasciando il pubblico a richiedere bis per quasi cinque minuti. Conclusa l’attesa il gruppo propone, a differenza dello show di Glasgow, 21st century schizoid man. In molti negli anni hanno sostenuto come questo pezzo non fosse nelle corde della band del 1974, così spigolosa, invece è evidente come qui venga eseguita in scioltezza e con un groove che con il senno di poi (ovvero il box set Epitaph) riporta alle esecuzioni del 1969 più che a quelle della band di Islands.

Schizoid man conclude definitivamente uno show carico ma probabilmente non da annoverarsi tra le prove massime del gruppo, comunque interessante più che altro per l’improvvisazione parzialmente finita su Starless and bible black.

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