Su, su

Versione breve: a me piacciono i dischi noiosi, se piacciono anche a voi allora vi consiglio questo 🙂

Versione lunga: Nel 1998 a Minerbe (VR, Midwest, Italy) si potevano prendere in prestito i CD in biblioteca, e noi lo facevamo. Altroché se lo facevamo! Se poi il CD meritava, finiva nel masterizzatore (meglio se il 32x di un amico) e il libretto veniva fotocopiato dal babbo al lavoro.

Uno dei CD che transitò per casa – e penso venisse proprio dalla biblioteca – fu UP dei R.E.M. All’epoca conoscevo solamente Automatic for the people + Losing my religion, avevo visto passare sulla neonata MTV i video di Daysleeper e Lotus e mi sembrava che tutto avesse senso in continuità con i dischi che conoscevo già. Non sapevo niente di Bill Berry e non mi sembrava strano che UP fosse un disco tendenzialmente mid-tempo e con pochi guizzi: in fondo anche Automatic for the people non è un album di rock tirato, no?

Col tempo scoprii che UP è considerato il primo grande passo falso dei R.E.M., che molti non arrivano ad ascoltarlo tutto, che certi fan lo vedono come un tradimento per le atmosfere elttroniche e per la latitanza delle chitarre. Mi stupì.

Dopo 19 anni UP secondo me è ancora un bel disco. È vero, è pesante, è monocorde, è fin troppo morbido negli arrangiamenti, alcune canzoni sono troppo lunghe e tutto quel che volete. Però funziona, funziona nel suo battito sinuoso, nell’atmosfera che crea mano a mano. Funziona l’introduzione minimale di Airportman, il funky soffocato di Lotus, funziona Daysleeper e At my most beautiful, un esercizio di semplicità. Nascoste tra le righe in Hope, You’re in the air e in Lotus ci sono parti di chitarra complesse, che fanno capire perché Peter Buck abbia poi voluto collaborare con Fripp e Rieflin allo Slow music project. Ci sono canzoni che lavorano per addizioni e stratificazioni e che sarebbero potute essere delle classiche cavalcate-alla-REM al doppio della velocità, come Hope ad esempio, ma non lo sono. Per scelta.

Canzoni come The Apologist, Sad professor, Walk unafraid, You’re in the air sono classici R.E.M. passati sotto pesanti sedativi; brani apparentemente rassicuranti, in realtà inquietanti, curatissimi nel suono e nel bilanciamento degli strumenti.

UP è un disco stancante, di quei dischi lunghi che – una volta arrivato in fondo – non ti fanno pensare “ora lo rimetto su”. È un disco che va per conto proprio, senza compromessi con la discografia passata e futura dei R.E.M. e senza facili concessioni all’ascoltatore. Pesante eppur leggero.

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