Una questione di principi

Una questione di principi – parte 1 – una bella storia

La notte in cui nacque Elia io e Martina arrivammo in ospedale a tarda sera e dal pronto soccorso fecero appena in tempo a mandarci in ostetricia. Eravamo concentrati su quello che ci stava succedendo, non avevamo né tempo né attenzione per firmare o leggere eventuali scartoffie. Finimmo diretti in sala parto, Elia nacque alle tre di notte e le infermiere ci lasciarono tutti e tre insieme, da soli, per un paio d’ore. Fu il nostro primo momento insieme. Al mattino, prima di andare a casa, mi fu chiesto di firmare una serie di documenti per il riconoscimento del bimbo, per la disponibilità ad effettuare i test metabolici e probabilmente altri documenti – a fini sanitari – che ero troppo distrutto per comprendere bene.

La degenza in ospedale si prolungò per qualche giorno perché Elia faceva fatica ad attaccarsi e mangiare. O meglio si attaccava ma poi si addormentava mangiando e quindi bisognava insistere un po’. Anche qui le infermiere dell’ospedale di Mestre ci offrirono tutta l’assistenza di cui avevamo bisogno, notte e giorno. Ci offrirono un po’ di latte artificiale quando Elia calò troppo di peso, ci insegnarono come attaccarlo al seno una, due, tre, non so quante volte. Non avevamo forze per pensare ad altro che a farlo stare bene.

Il giorno delle dimissioni salutammo le infermiere e i compagni di stanza, portai tutte le cose di Martina in macchina e poi tornai a prendere lei ed Elia. Non avevamo altro in mente che il nostro futuro. Ritirato il foglio di dimissioni uscimmo dalle porte automatiche del reparto diretti verso la macchina, verso casa.

Fu in quel momento, sulle porte dell’ascensore, che ci rendemmo conto di una cosa. In tutti quei giorni, in tutti quei momenti, non avevamo mai dovuto pensare ad altro che non alla nostra salute e quella del nostro bimbo. Nessun pensiero su “me lo potrò permettere?”, nessun trattamento al quale non potessimo accedere per mancanza di disponibilità economica o di “diritto” sulla base di qualche copertura assicurativa. Tutto quello che l’Ospedale era in grado di fornire ai degenti – in termini di personale o di macchinari – ce l’aveva messo a disposizione, a noi come a tutti gli altri.

In quel momento ci sembrò di toccare realmente, con le nostre mani, il valore di un sistema sanitario universale e gratuito. Non abbiamo pagato un centesimo per la degenza, per il parto, per le cure ricevute, e soprattutto non abbiamo dovuto pensare nemmeno per un secondo a quell’aspetto. Non avevo mai percepito così forte il fatto di star godendo di un diritto. Se l’esperienza del parto (ma anche della gravidanza, grazie ai consultori) è stata così positiva lo dobbiamo anche a questo, al potere di un sistema che ci ha fatti sentire accolti ma soprattutto che non esclude nessuno. Solo in un sistema così si può affrontare un momento delicato senza pensieri e senza preoccupazioni che non siano quelle realmente importanti.

Una questione di principi – parte 2 – una brutta storia

In questi giorni Elia è ammalato. Un potente raffreddore che prima lo ha tappato a livello nasale e poi gli ha alzato la febbre. Fa fatica a dormire a causa della congestione nasale, nonostante i lavaggi, quindi ieri pomeriggio abbiamo deciso di sentire un medico per chiedere come avremmo potuto risolvere la congestione. Essendo (ovviamente) sabato la pediatra non era disponibile e quindi abbiamo telefonato alla guardia medica.
Il medico al telefono ci ha chiesto i sintomi del pupo e poi – non essendo pediatra – ci ha raccomandato di recarci al pronto soccorso per una visita. Là – ci ha assicurato – con la corsia preferenziale pediatrica non avremmo fatto tutta la fila e saremmo stati rinviati al pronto soccorso pediatrico in reparto.

Onestamente portare il pupo al pronto soccorso per un raffreddore ci sembrava esagerato, però l’idea di lasciarlo senza cure per tutta la notte con un possibile peggioramento in vista ci sembrava anche peggiore e così – da bravi genitori zelanti – siamo andati.

Tutto si è svolto come predetto dalla guardia medica: rapido triage in pronto soccorso, rinvio al pronto soccorso pediatrico in reparto, attesa, visita e diagnosi. Responso: è un raffreddore, continuare coi lavaggi e aspettare che passi. Ok.

Tutto bene, sembrerebbe. In realtà non proprio tutto. Infatti insieme al referto la dottoressa del pronto soccorso pediatrico ci ha consegnato un altro foglio con l’indicazione del pagamento del ticket: 20.50€.
20 euro non sono tanti in senso assoluto: sono una pizza con birra media e dolcetto, una bolletta della luce scale, un mezzo pieno della macchina. Però quei 20 euro in cambio di una visita a un bimbo malato ci sono sembrati una anomalia.
Innanzitutto ci sono sembrati una anomalia perché se avessimo atteso lunedì – per portarlo poi dalla sua pediatra – la visita sarebbe stata gratuita. Non si tratta forse di una visita egualmente erogata dal servizio sanitario? La diretta conseguenza di una disparità del genere è che – anche solo inconsciamente – al prossimo malessere forse ci penseremo due volte a portare Elia al Pronto Soccorso. Peggio ancora, al prossimo malessere ci penseremo forse due volte a chiamare la Guardia Medica sapendo che potrebbe raccomandarci di andare in ospedale e potremmo trovarci con una diagnosi e un ticket da pagare.

In secondo luogo ci sono sembrati una anomalia perché quello che abbiamo portato all’Ospedale è un bimbo ammalato, per il quale il medico di turno ha emesso una diagnosi e suggerito una terapia nel caso in cui la malattia dovesse protrarsi. Non siamo andati al pronto soccorso per fare un giro, non siamo arrivati lì con un falso allarme (e anche qui ci sarebbe da aprire una discussione), non abbiamo intasato di nostra spontanea volontà un percorso dedicato magari a pazienti in emergenza. Di fronte a un bimbo ammalato in ospedale non ci siamo sentiti accolti, ci è stato invece richiesto di pagare per una visita come se il servizio offerto fosse un “in più” rispetto a quanto ci spettava di diritto.

Qual è il senso di un sistema nel quale il medico di guardia ti consiglia caldamente di recarti all’ospedale per una visita a pagamento? Qual è il risultato al quale forse non si sta puntando ma verso il quale inevitabilmente si finirà? Il risultato è quello per cui prima di fare una visita, prima di andare in pronto soccorso, prima di alzare la cornetta e chiamare il medico il paziente ci pensa due volte. Oppure magari si informa e decide di andare privatamente, dato che magari con la convenzione viene a pagare poco di più oppure (grazie al superticket del quale in Veneto andiamo orgogliosi) a volte anche di meno, come già accade per certi esami del sangue.

Il sistema sanitario nazionale italiano è qualcosa di cui andare fieri. È un sistema che mette in pratica un diritto, quello alla salute, e negli anni l’ha fatto più o meno bene ma sempre nella maniera giusta. Introducendo delle forme di pagamento che allontanano i pazienti dai servizi sanitari si mina alle basi questo sistema, il quale continuerà a curare altrettanto bene o altrettanto male ma lo farà in maniera meno giusta, meno onesta nei confronti dei propri pazienti e dei cittadini.

Tutto questo per dire cosa? Per dire che il consiglio in vista delle prossime elezioni, le europee come le politiche come le amministrative, è di andare a vedere quale sia il programma dei singoli partiti riguardo ai servizi sanitari e assistenziali. Se quei partiti hanno già governato, il suggerimento è di andare a vedere come hanno operato in questi campi quando erano al governo. Perché un euro chiesto a fronte di una visita a un bimbo che ne ha bisogno è un mattone nella direzione di una sanità non inclusiva, per privilegiati, per chi se lo può permettere. E soprattutto se quei privilegiati che se lo possono permettere siamo noi – bianchi italiani sposati eterosessuali lavoratori – è importante che facciamo sentire la nostra voce anche per chi voce non ne ha.

Una questione di principi – parte 3 – una storia a sé

Durante tutto il nostro giro turistico in ospedale ci siamo sentiti dei cretini perché andare al Pronto Soccorso per un bambino con il raffreddore è l’ultima cosa che avremmo voluto fare. Tutto era partito da una semplice domanda: “dovremmo dargli qualcosa per librerare il naso?”. Ci saremmo potuti arrangiare e dargli qualcosa, però tutti raccomandano giustamente di non fare auto-medicazione. Saremmo potuti andare dal farmacista e chiedere a lui, però ai genitori si raccomanda di chiedere al medico. Abbiamo chiamato il medico e – dato che un servizio di continuità assistenziale pediatrica non c’è – il medico ci ha consigliato di andare al pronto soccorso, dove abbiamo contribuito a rallentare un servizio che sicuramente aveva in coda pazienti più urgenti di noi.

Fino a qualche tempo fa a Mestre esisteva un servizio di ambulatorio pediatrico attivo negli orari notturni e festivi. A quanto pare ora è stato sospeso, sostituito da un “pronto soccorso pediatrico” al quale si accede tramite il pronto soccorso normale, come abbiamo fatto noi. Questa situazione ci ha ricordato da vicino quello che è successo negli ultimi anni ai migranti in Italia, i quali avendo accesso limitato al servizio sanitario tramite i canali normali (residenza –> medico di base) spesso finiscono per accedere al servizio sanitario tramite il Pronto Soccorso perché è semplicemente l’unico punto di ingresso che hanno a disposizione per accedere alla sanità pubblica, della quale hanno diritto a usufruire.

I tagli ai budget e i tagli ai diritti finiscono sempre per danneggiare anche le persone che non si sono viste coinvolte in prima persona. Anche questo è qualcosa di cui conviene tenere conto, quando si tratta di scegliere da chi farsi amministrare.

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