pronti, partenza…

allora, il gas l’ho chiuso. Anche le porte sono chiuse, a chiave. Ho dato da mangiare al cane, al gatto e mi sono messo d’accordo con lo zio per i giorni che verranno. Non voglio certo farli soffrire, ma non posso nemmeno permettermi di portarli con me…
Le finestre sono sprangate, il computer, la TV e lo stereo staccati (non si sa mai che qualche fulmine colpisca i cavi elettrici o l’antenna…). Direi proprio che sono pronto per partire…

Eh si’, l’appartamento rimarra’ chiuso per qualche giorno, almeno fino al 29 o il 30… nel frattempo confido nel vostro aiuto: tenetelo d’occhio e, se doveste vedere qualche persona sospetta aggirarsi qui attorno, o dell’acqua uscire dalle porte (ho sempre il terrore di lasciare qualche rubinetto aperto) fatemelo sapere.

A presto e buone feste a tutti, spero che le possiate passare nel modo piu’gioioso possibile e che possano darvi una carica di energia per il lontano (spero per voi) ritorno al lavoro/alla scuola/a quel che fate di solito.




alla fiera di Mastro Andre’

La messa di mezzanotte peggiore della mia vita!
Arrivo in chiesa, stranamente un o’ in anticipo. Sento le note del canto iniziale. So benissimo che la porta d’ingresso, a due battenti, cigola da una parte quindi apro l’altra con decisione, verso l’interno. Odo l’inconfondibile tonfo dell’impatto con un essere umano. Sovrappensiero apro il battente verso l’esterno e, sorpresa! La chiesa e’ gia’ PIENA ZEPPA, c’e’ gente fino quasi sulla porta. Non sono intenzionato a tornare indietro, di solito la messa di mezzanotte e’ particolarmente bella e vissuta, mi mette in un bel mood per tutto l’anno. Mi intrufolo e in un attimo e riesco a piazzarmi dentro, ma comunque sulla porta. Ci sono un po’ di correnti d’aria ma nessun problema, ho il giaccone pesante!
Mi guardo un attimo intorno, prima che la messa inizi, e noto molte persone, tantissimi giovani ma anche adulti e anziani, che conosco bene e non certo in qualita’ di abituali visitatori della chiesa. La cosa non mi meraviglia piu’ di tanto; e’ noto come la messa di Natale sia un’occasione, per molti, da non perdere anche se non ci si crede piu’ di tanto.
I primi minuti della celebrazione, diciamo fino alla prima lettura, sono comprensibilmente interrotti da numerose persone che entrano in chiesa e, fatto strano, da altrettante che escono, soprattutto giovani. Si tratta di ragazzi della mia eta’, a volte mi salutano uscendo. Vanno fuori a fumarsi una sigaretta o telefonare, poi rientrano dopo qualche minuto.
Sempre, rigorosamente, dalla porta che cigola.
Fino alla seconda lettura non riesco a seguire granche’, con questo viavai. Mi convinco che la cosa sia destinata a concludersi al momento del Vangelo, sbagliando. Persone di ogni eta’ continueranno a fare dentro e fuori dalla porta per tutta la durata della messa. Tutti, ma dico tutti, facendo cigolare la porta…
La messa procede, il celebrante ha la brillante idea di leggere l’omelia da un foglietto preparato per l’occasione, con ovvi risultati: espressivita’ zero, attenzione sotto ai tacchi delle scarpe.
Attorno a me sale il brusio, la gente in piedi comincia a rompersi definitivamente le palle. Quelli seduti comunque non sembrano essere molto piu’ contenti di trovarsi li’. Se nella mia zona, in fondo alla chiesa, siamo in quattro a pregare a voce alta, dalle persone sedute non si sentono cori piu’ potenti. Durante il credo il sacerdote chiede di inginocchiarsi alle parole “e per opera dello Spirito Santo”. Obbedisce circa una persona per banco, spesso anche meno (ovviamente tenendo solo conto delle persone che hanno un inginocchiatoio davanti). Se ho visto bene, nelle prime tre file davanti non si e’ inginocchiato nessuno. Possibile che non stiano ascoltando?
Nella “zona giovani” il casino aumenta, c’e’ sempre il solito viavai. Le persone piu’ avanti dall’eta’ non sono pero’ da meno. Accanto a me c’e’ un signore sulla sessantina che ogni tanto si lascia andare a qualche risata isterica a volume pazzesco. Spero per lui che sia ubriaco. Da dietro un altro personaggio gli sussurra spesso delle cose nell’orecchio con voce baritonale, ottenendo l’effetto di coprire le parole del celebrante e farsi sentire a kilometri di distanza.
La messa procede fra canti e aggiunte pompose del celebrante alle formule originali, in un tentativo di alzare il tenore della celebrazione e far notare a tutti che siamo a Natale, mica ad una festa della birra. Nel frattempo io sono piu’ di una volta sul punto di lasciare la chiesa e tornare alla messa del mattino, soprattutto quando mi volto e noto una coppia intenta, cosi’, allegramente, a mandare messaggi a tutti gli amici con i propri telefonazzi supermegaipertecnologici, sorridendosi beati l’un l’altro e sghignazzando. A farmi restare e’ la presenza davanti a me di due ragazze del gruppo dei giovanissimi a cui faccio animazione, alle quali sarebbe potuta sembrare incomprensibile (e non certo di buon esempio) una mia “fuga”.
Arriva il momento della comunione e, ovviamente, torme di “fedeli” si riversano nell’atto supremo di tutta la celebrazione, perche’ e’ quello in cui si puo’ guadagnare maggiore visibilita’, sfoggiare il vestito nuovo, il cappellino, le scarpe, la pettinatura. Non dico mica che sia cosi’ per tutti, e’ ovvio, ma per molti si’. E non si prendono nemmeno la briga di nasconderlo.
Passata la comunione, qualche avviso veloce e poi la benedizione. Quindi il canto finale. Intenzionato ad ascoltarlo mi spingo verso il centro, lontano dalle porte, per evitare la gente che esce. Ciononostante il brusio mi impedisce di sentire una sola nota della canzone. A questo punto esco anch’io e mi vado a gustare una bella tazza di cioccolata ed un paio di fette di pandoro gentilmente offerte dalla pro-loco.

Cosa dite? Che sono un ipocrita? Che anch’io vado a messa e non ascolto una parola? Che dico dico dico e poi sono il primo a non mettere in pratica? Vero, verissimo. Anch’io spesso in chiesa, lo ammetto tranquillamente, faccio molta fatica ad ascoltare, oppure ascolto ma cio’ che viene detto non mi piace, e allora (sbagliando, forse) mi isolo e penso a dell’altro. Credo pero’ che mettersi a pistolare col cellulare in chiesa, oppure chiacchierare per un’ora mentre altra gente tenta di fare una celebrazione, oppure ancora uscire ogni cinque minuti per andare a telefonare a qualcuno sia un segno profondo di mancanza di rispetto. E’ questo a darmi fastidio. La messa di Natale e’ diventata un momento “sociale“, non liturgico. La gente ci va per abitudine, o perche’ e’ una cosa strana, o perche’ “ci vanno tutti”, o che ne so. Io stesso ammetto che ci sono andato perche’ per me era la messa all’orario migliore, visto che oggi avrei avuto comunque tante cose da fare. E’ triste, ma capisco che tante persone possano andare alla messa di mezzanotte perche’ “si usa cosi'” e starsene a casa il resto dell’anno. Mi da pero’ fastidio, ma veramente tanto, se qualcuno ne approfitta per stare tutto il tempo a parlare, o e’ talmente distratto che non si accorge nemmeno se il prete gli chiede di inginocchiarsi. L’unico rumore che ha destato molti dal torpore, ieri sera, e’ stato il tintinnio delle monete all’offertorio…
Saro’ un bigotto, un antico, un muffoso, un perbenista, un checazzoneso, ma certi atteggiamenti mi danno fastidio. Mi darebbero fastidio se fossi a scuola, se fossi in palestra, se fossi al cinema. Non vedo perche’ mi dovrei sentire un idiota a dire che mi danno fastidio anche in chiesa!

Buon Natale (qualsiasi cosa significhi) a tutti!















auguri

È tantissimo che non vengo qui, mi tolgo le scarpe e mi accoccolo sul divano, avvolta nel grande plaid rosso, cullata dai miei pensieri e dalla musica bassa, appena percettibile.
È tanto che non posso permettermi il lusso di sedermi vicino al termo e guardare fuori, semplicemente.
È tanto che la pila di libri che mi piacciono davvero (non quelli universitari, quelli veri) resta lì ad impolverarsi e mi guarda con rimprovero.
E non serve dire “non ho tempo“, il tempo ce l’ho, devo solo decidere di dedicarlo a ME!
Domani mattina parto, senza fretta, nessuno ci corre dietro, e vado in montagna. Là mia nonna prepara ogni tipo di leccornie e i miei zii sono campioni d’ospitalità e maestri di rilassamento. Così potrò finalmente distendere le gambe anch’io e fregarmene degli orari e delle scadenze.
Buon Natale a tutti, spero che sia davvero magico!

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Quand il me prend dans ses bras, Il me parle tout bas, Je vois la vie en rose…

Le note di “La vie en rose” di Edith Piaf risuonavano, scandite dai ritmi dei timpani e della batteria ed impreziosite da dolci note di viola, arpa e da qualche ottone qua e la’.
Era l’ultimo bis della serata, la gente che piu’ si era annoiata, o che semplicemente non ha la cultura del “fora, fora…” se ne stava gia’ uscendo, alla spicciolata.
Era il momento di mettersi al lavoro. Il palco, abbandonato dai musicisti, sembrava un campo di battaglia abbandonato in fretta. Gli strumenti piu’ grossi al loro posto, sedie spostate, leggii, partiture… Poco dopo gli strumentisti dell’orchestra del teatro Olimpico di Vicenza tornarono in fretta a prendere le cose piu’ preziose che avevano lasciato sul palco ed quindi sparirono definitivamente nei camerini.
Che strana sensazione e’ mettere piede su un palco deserto. Soprattutto se si tratta di un palco di dimensioni non indifferenti… Vedendolo pieno di musicisti, prima che il concerto finisse, mi ero reso conto di quante storie l’avessero popolato, storie di persone e di personaggi, noti e meno noti. Ora posso dire che anche la mia storia e’, per un po’, entrata a far parte di quel palco, seppur dalla porta di servizio.
Non che abbia fatto niente di speciale, ho semplicemente aiutato il personale a portare e disporre il materiale elettrico, le scenografie e la strumentazione per il concerto di Milva che si e’ tenuto stasera nel mio paese. Eppure, sara’ stato per l’euforia di lavorare “nel mondo dello spettacolo”, eravamo tutti gasati, anche chi di palchi ne aveva gia’ montati a decine ed era anche stufo di vederle, quelle cassone di plastica rinforzata rigurgitanti cavi, luci, mixer e chiavi inglesi.
Sembra una stupidaggine, ma lavorare letteralmente “dietro le quinte” di uno spettacolo, sapere di aver contribuito alla realizzazione del sogno di qualcuno (dei musicisti le cui opere sono state inrerpretate, della cantante che sognava di interpretarle dell’orchestra che sognava di arrangiarle…) o alla buona riuscita di un evento artistico da veramente una grande soddisfazione.

La sensazione piu’ bella, pero’, e’ stata attraversare tutto il teatro per uscire, a lavoro finito, dalla porta principale. Attraversare da cima a fondo il palco, semibuio e deserto, fino al centro, per scendere giu’ dalla scaletta. Arrivati al centro, accorgersi di come ci si senta davvero nel fulcro del mondo, stando li’ in mezzo. Chiudere gli occhi e sentirsi addosso gli sguardi di centinaia di persone, riaprirli e sentirsi all’improvviso solo e rassicurato. Ascoltare lo scricchiolio delle assi sotto i piedi, pensare a quanti piedi le hanno calpestate, scalzi o meno; alzare gli occhi e guardare il soffitto lontano, girare su se stessi senza guardare per terra e notare le lunghe file di sipari, le luci, tutte quelle cose che vede solo chi sta “dietro”. Rimanere per un po’ in quella situazione di “limbo”, in bilico fra la platea e il palco, fra chi parla e chi ascolta, per poi attraversare, sempre con le luci soffuse, le file di sedie, camminando sul tappeto rosso e gettando gli occhi a destra e a sinistra per notare alcuni strani giochi di luce creati dalle “appliques” ai muri. Arrivato in fondo, girarsi e guardare verso il palco. Non so come descrivere la sensazione che si prova, ma ci si sente dentro tutta la magia di quel luogo. E’ come essere in un tempio, come mi immagino ci si senta in un posto tipo Stonehenge, o al Taj-Mahal… un tempio alla fantasia umana.

Che lavoro affascinante!








basta un giorno così…

Mi capitano, a volte, periodi in cui sono in uno stato misto di apatia e di malinconia; tutto mi stanca, anche le cose più comuni, più semplici, più consuete. E questo mi dà tremendamente fastidio! Così divento pure nervosa e anche la minima cosa mi irrita incredibilmente.
Quello che mi fa stare più male (e al tempo stesso mi fa arrabbiare di più) è il fatto che, spesso, non riesco a venirne fuori, nonostante mi sforzi, nonostante lo voglia con tutta me stessa…
così riesco ad essere un po’ allegra per qualche ora, a volte anche parecchie, ma poi ripiombo, pesantemente, in questo stato terribile di malinconia- apatia- nervosismo- solitudine.

Poi, però, mi sveglio una mattina, mi costringo ad uscire, anche se è l’ultima cosa che vorrei fare, sento il vento che mi sbatte contro, e vedo il cielo che piano piano si tinge di quell’azzurro quasi irreale, che solo le migliori giornate d’inverno possono sfoggiare.
E poi vado nel mio vecchio liceo: tanti ricordi, tante persone che mi sorridono e mi abbracciano, come se fossi una vecchia amica e, con gli occhi pieni di orgoglio, mi ascoltano raccontare in piccoli flash gli ultimi mesi della mia vita.
E poi esco, e sento il naso freddo, la sciarpa sulla bocca, l’aria pungente e il sole che tenta di scaldare; le bancherelle colorate e luccicose di Natale; i profumi e i suoni; le persone che osservano e contrattano e chiaccherano…
E poi quasi mi scontro con una persona che non vedevo da un po’, e andiamo a farci un giro per le piazze vestite a festa, parliamo, ridiamo…

E così il sorriso mi torna, dentro e fuori.
Basta davvero un giorno così per cancellarne altri 120…









tolleranza?!

Tolleranza. Dal latino tolero (as, avi, atum, are), significava sopportare, oppure sostenere, resistere a qualcosa, confortare. In italiano significa:
1- Sopportare con pazienza e senza lamentarsene cose spiacevoli o dolorose
2- Ammettere idee, convinzioni, opinioni contrarie alle proprie
3- Consentire dilazioni, scarti, differenze di non grave entita’.

Il terzo significato e’ prevalentemente tecnico (“sono tollerati errori anche di un decimo di micrometro nella misurazione…”), il primo e’ prettamente fisico, ma non solo. Comunque e’ legato alle esperienze umane individuali (“Tollera un po’ di mal di testa, vedrai che passera'”, “Non tollero le persone che mi pestano i piedi in autobus”). Il secondo significato e’ invece piu’ ampio, coinvolge la socialita’, il modo di rapportarsi agli altri.
Di solito odio cercare i significati precisi di parole che conosco nel dizionario, perché la lingua si evolve e non è detto che, se io ho una concezione diversa di una parola, la mia sia “sbagliata”. In questo caso, però, mi sembrava il minimo per dare un minimo di rigore al mio discorso. E’ meglio pero’ che parta dall’inizio…

Ieri sera stavo parlando di immigrazione con il prete del mio paese. Ad un certo punto mi ha gelato il sangue nelle vene con la seguente frase: “tolleranza e’ una brutta parola. Rispetto si’, tolleranza no!”.

Io sono trasalito, ho replicato dicendo che tolleranza non significa permissivismo, ma poi ho lasciato cadere il discorso. Non mi sembrava giusto intraprendere una discussione lunghissima (e, conoscendo il soggetto in questione, inutile) all’interno di una riunione con altre persone nella quale occorreva prendere delle decisioni di ordine pratico che avevano, giustamente, la precedenza sulle questioni private fra me e il don.
Ma come si fa a dire una cosa del genere? Innanzitutto mi chiedo come possa un uomo ci chiesa pensarla cosi’. Gesù ha detto “se ti verrà percossa una guancia, tu porgi anche l’altra”, ha detto “beati i miti”. Cosa intendeva con queste frasi? “Rispetto sì, tolleranza no”? Non credo proprio. Ma anche uscendo dalla religiosità, cosa si può ottenere, nella propria vita, praticando il rispetto ma non la tolleranza? Si finisce per rispettare solo le persone che si tollerano, cioè quelle che la pensano come me, o il cui modo di fare non mi da fastidio. Largo ai musulmani, finché si limitano a pregare e digiunare. Stop ai musulmani, quando chiedono di aprire una moschea nel mio paese o chiedono di rimuovere il crocifisso dalle aule di scuola. E il dialogo, dov’è finito? Non è il confronto che permette di crescere? Che razza di confronto ci può essere con persone che la pensano come me?

La tolleranza viene prima del rispetto. Non si può avere rispetto per qualcuno ed essere intolleranti con lui. E’ un controsenso, un paradosso, che smaschera secondo me quanto una teoria come questa del “rispetto sì, tolleranza no” nasconda in realtà solo paura, razzismo (non razzismo “manifesto” come in Louisiana nel 1950, ma quel razzismo “dimesso” nel quale mi sento immerso ogni giorno) e la convinzione di avere in mano le chiavi della verità e potere pertanto mettere i piedi in testa a tutti, se si rivela necessario.
Sinceramente mi mette molta, molta tristezza ed anche molta rabbia sapere che la persona che si è rivolta a me in questi termini può parlare ogni giorno, da un ambone, a tutta la comunità ed ha un potere fortissimo sulla loro educazione e la loro morale.

Non lascerò però che la discussione fra noi finisca qui. Ho perso molto rispetto per quel prete, in quel momento. Non ho perso però la tolleranza nei suoi confronti e sono pronto a discutere ancora con lui e ad ascoltare quello che ha da dirmi. Spero solo che lui, anche se professa il contrario, sia disposto a manifestare altrettanta tolleranza nei miei confronti.

Scusate lo sfogo

Se vi fidate di più di Umberto Eco che di me (anche se non ne vedo il perché :P) andate a vedere cosa dice qui





















the great gig in the sky

E’ brutto venire a sapere che una persona che conosci non c’e’ piu’. In questo caso e’ forse meno doloroso in maniera “diretta”, ma piu’ strano, piu’ distaccato ma nello stesso tempo piu’ “vicino”, perche’ con questa persona avevo in qualche modo parlato, seppur non l’avessi mai vista.
Si chiamava Roberto, ma nel newsgroup nel quale lo avevo conosciuto si firmava Rob46. Aveva 58 anni e, dopo 35 anni di lavoro in banca, da sette mesi era finalmente riuscito ad andare in pensione e dedicarsi alle cose che piu’ gli piacevano. Fra le altre, la fotografia e la musica, in particolare i Pink Floyd.
Non avevo mai avuto un gran rapporto con lui, avevamo punti di vista totalmente diversi su molte cose, anche se ammiravo il suo modo “bambinesco” di approcciarsi alla musica, quel suo modo di lasciarsi coinvolgere totalmente, come si riesce a fare solo da bambini o in certe circostanze particolari.
Non posso non pensare alle persone che avra’ lasciato, che avra’ o non avra’ salutato, prima di morire cosi’, all’improvviso. Magari era arrabbiato con qualcuno che ora piange doppiamente, magari aveva detto “torno presto” a sua moglie o a un amico o che ne so, prima di andare ovunque fosse quando e’ successo…
Saro’ retorico finche’ volete, ma avvenimenti come questo mi fanno sempre pensare molto, oltre che stare male dentro.
Non c’e’ molto altro da dire, o forse si’.

Shine on Roberto!






ninna nanna

Immaginatevi una sera nebbiosa, umida e freddissima…
Immaginatevi un bagno caldo, di quello con il vapore che ondeggia per tutta la stanza.
Immaginatevi un asciugamano morbidissimo, appoggiato sul termosifone.
Immaginatevi un pigiamone, di quelli grandi, magari con la salopette.
Immaginatevi una tazza di camomilla calda, ma non troppo, quel tanto da riscaldare, ma senza bruciare.
Immaginatevi un letto con le lenzuola che profumano di fiori e di vento e un piumone enorme, con dei pinguini stampati sopra.
E ora…

Image Hosted by ImageShack.us Ninna nanna Mamma
tienimi con te
nel tuo letto grande
solo per un po’
una ninna-nanna io ti canterò
e se ti addormenti, mi addormenterò

Ninna nanna mamma
insalata non ce n’è
sette le scodelle sulla tavola del re
ninna nanna mamma
ce n’è una anche per te
dentro cosa c’è
solo un chicco di caffè…






















stress

Sono seduto al computer, in laboratorio ‘beta’. A due metri da me, una mia amica sta sostenendo un esame. Dopo di lei tocchera’ a me.
E’ il mio primo esame orale all’universita’; a ben pensarci, l’ultima occasione in cui sono stato interrogato e’ stata… la maturita’ (mamma mia, sembra ieri)!
Speriamo bene… 😛