Ore 21:00, teatro Salieri.
Quasi senza cenare, eccomi davanti al teatro. Aspetto per un po’ mio zio, poi mi convinco del fatto che tutto sommato e’ meglio entrare e tenere due posti per lui e per suo cugino.
Non ho mai sentito una donna suonare jazz, e nemmeno ho mai visto jazzisti giapponesi. Stasera invece sono qui per una pianista jazz nipponica, quindi come minimo vorrei vederla bene.
Salgo le scale e trovo tre posti vicini; li "riservo" gettandoci sopra giacca e zaino e attendo.
Dopo un po’ i parenti arrivano, praticamente seguiti dai musicisti. Si tratta di Stefano Senni e Zeno De Rossi, noti jazzisti italiani, e Yayoi Ikawa, la sconosciuta (per me, fino a ieri) pianista di cui parlavo piu’ su.
La saletta approntata per il concerto e’ ideale per questo tipo di musica. Terra’ si’ e no 50 posti a sedre ed e’ ricoperta, alle pareti, di velluto rosso e pannelli fonoassorbenti neri. Il soffitto affrescato tradisce lo stile "liberty" del teatro e da un tocco di classicita’ al tutto. Data la dimensione ridotta della sala i musicisti suonano a mezzo metro dalla prima fila di sedie, il che e’ un indubbio vantaggio. Ai concerti jazz, secondo me, e’ richiesto un minimo di "contatto con il pubblico": non si puo’ stare a 100 metri di distanza e vedere i musicisti alti come formiche, altrimenti ovviamente la noia prendera’ il sopravvento. Bisogna essere "dentro" il concerto, sentire la tensione dell’improvvisazione, seguire gli sguardi tra i musicisti, seguirne le dita, vedere come si muovono per tenere il tempo o come entrano quasi in trance durante un assolo.
Dopo una breve presentazione il concerto inizia. Lei non parla una parola di italiano ma si spiega ugualmente molto bene in un inglese scolastico. Capiamo che tutti i brani, tranne uno, sono sue composizioni. Per lo piu’ si tratta di pezzi che hanno un loro significato: uno e’ dedicato al marito trombettista, un altro e’ "la rappresentazione di un viaggio verso un posto in cui non si e’ mai stati", un altro ancora e’ dedicato al Giappone…
Subito rimango colpito dalla coesione fra i musicisti: tutti e tre iniziano i pezzi suonando con lo spartito, in quanto ovviamente non hanno avuto sufficiente tempo per provare i brani. Poi, pero’, come e’ tradizione in questo tipo di musica, si lasciano andare in lunghe improvvisazioni, spesso tiratissime. Lei ha uno stile molto particolare ed e’ sicuramente bravissima tecnicamente. A volte accarezza il piano come se dovesse farlo addormentare, ma pochi secondi si alza in piedi e preme i tasti come se volesse non farli tornare piu’ su. La mano destra e la sinistra a volte sembrano davvero comandate da due persone diverse: procedono senza ascoltarsi, una tenendo la melodia con degli accordi e l’altra lasciandosi andare in assoli apparentemente "staccati" dal tempo della composizione… che guduria!
Anche il batterista e’ un vero signore. In camicia gessata e pantaloni con la riga, suona una batteria minuscola con un timpano di 40 cm di diametro e un solo tom. Sul "ride" ha attaccato una catenella di quelle che si usano per i tappi dei lavandini, in modo che quando percuote il piatto il suono si prolunghi in un modo molto particolare.
Tutti i brani hanno dei tempi molto strani da seguire, a volte il battere e il levare cambiano ad ogni battuta. Lui pero’ riesce sempre a starci dietro e contemporaneamente ascolta quello che fanno gli altri due. Davvero in gamba! E poi a me piacciono un sacco i batteristi con uno stile "a cascata", quelli che quando il brano prende il volo sembra che facciano rotolare le bacchette sulla batteria. Un po’ alla "Dave Weckl", oppure come il batterista di Dave Brubeck nella celeberrima "Take five" (sono i primi esempi che mi vengono in mente).
Piu’ il concerto va avanti e piu’ mi rendo conto di una cosa: Yayoi (che ieri ha compiuto 28 anni) non e’ solo una bravissima esecutrice, ma soprattutto una straordinaria compositrice. I pezzi scritti da lei sono molto complessi ma mai pesanti, non sanno di "gia’ sentito" e lasciano largo spazio all’improvvisazione. Mi dispiace un po’ che non abbia portato dei CD da vendere, quasi quasi ne avrei comprato uno volentieri…
Il concerto finisce dopo un’oretta e mezza ed una decina di brani, purtroppo senza bis (cosa facilmente comprensibile, visto che probabilmente hanno eseguito tutti i pezzi che avevano provato). Esco dal teatro con un po’ di sonnolenza (vista la temperatura tropicale della sala nella quale si e’ svolto il concerto) ma decisamente soddisfatto.
A questo punto, per concludere in bellezza la serata, manca solo una bella birrozza+bruschetta dal Re delle basse, Eolo. Ma questa e’ un’altra storia...