ad alta voce

Sabato pomeriggio io e Lullu siamo andate a Bologna ad ascoltare poeti, scrittori, attori che leggevano ad alta voce. Ed è stato davvero bello, molto di più di quello che avevo pensato. In realtà noi siamo molto poco abituati ad ascoltare, a non avere altro da fare se non guardare nel vuoto, vedendo immagini, suoni, suggestioni create dalla nostra mente al solo suono di certe parole; l’ho sperimentato proprio sabato. Ma, con un piccolo sforzo, anche a costo di tenere sott’occhio la mia mente per non permetterle di andarsene a zonzo, ci sono riuscita: ho ascoltato e sono riuscita ad apprezzare la bellezza di sentirsi narrare qualcosa. Proprio come facevano i greci (e non solo), proprio come facevo da piccola, con mia nonna o mia mamma.

È stata proprio una bella giornata: ho riscoperto quest’arte troppo spesso sottovalutata, ho conosciuto gli amici di Lullu, persone squisitamente fuori dal comune, ho rivisto Bologna, dopo tanto tempo e… i punkabestia mi hanno considerato una di loro! (su questo però stendiamo un velo pietoso)

L’anno prossimo ci si ritorna (però anche importarlo non sarebbe una cattiva idea…)

bruciore

Silvio Berlusconi, 30 ottobre 2005

«Io non sono mai stato convinto che la guerra fosse il sistema migliore per arrivare a rendere democratico un paese e a farlo uscire da una dittatura anche sanguinosa»

«Ho tentato di trovare altre vie e altre soluzioni anche attraverso un’attività congiunta con il leader africano Gheddafi. Non ci siamo riusciti e c’è stata l’operazione militare. Io ritenevo che si sarebbe dovuta evitare un’azione militare»

George W. Bush, 17 marzo 2003

"Caro Silvio, mentre stiamo affrontando una minaccia senza pari, desidero esprimere la gratitudine del popolo americano per lo straordinario sostegno che Tu e il Tuo Governo avete dato alla guerra globale contro i1 terrorismo. Ti sei schierato con noi e noi non lo dimenticheremo." (…)

Cosa dite, ha preso in giro lui o ha preso in giro noi?
…io una mezza idea ce l’ho…

…dove va a finire…

Ieri mattina, finalmente, un professore ha deciso di spendere 30 minuti della sua ora di lezione per parlarci di questa riforma universitaria di cui si sente tanto parlare. Ne ha parlato con passione, competenza e amore per il proprio lavoro. Per quanto mi riguarda, questa scelta gli ha fatto guadagnare non pochi punti-rispetto… peccato che li perderà tutti all’esame =P

In pratica le conseguenze più pesanti della riforma si avranno nel campo della ricerca. Si tratta perciò di una questione che riguarda in massima parte le facoltà scientifiche: scienze matematiche, scienze naturali, medicina ed ingegneria.

Al momento il mondo dell’università italiana è stratificato in una piramide come quella che vedete qui a lato. Dopo la laurea di primo livello si accede alla laurea specialistica dopo la quale, se si sente passione per la ricerca scientifica, è possibile optare per un dottorato di ricerca o Phd, della durata di tre anni. Per accedere al dottorato si fa una graduatoria nella quale è molto importante il voto di laurea (insomma, devo già mettermela via…). Dopo questo passo, se si vuole continuare nell’ambito della ricerca, è necessario recarsi all’estero. Questo non perché in Italia non si faccia ricerca, ma perché è buona cosa per un ricercatore "far prendere aria al cervello", "far girare le idee", confrontarsi con altre realtà ed altri ambiti. Questo porta via circa due anni.
Al ritorno in Italia (o anche all’estero, se uno può permettersi di restarci) il nostro ambizioso studente è finalmente un "Ricercatore Universitario" (o RU). Prende un buono stipendio dall’università, non ha studenti che gli romponp le scatole o lezioni da preparare. Deve soltanto restare in un laboratorio a "pensare". Pensa, pensa e pensa finché non gli viene qualche idea buona. Solitamente ci vogliono degli anni… Infatti, come esemplifica il grafico a lato, se le pubblicazioni scientifiche crescono con una curva esponenziale (linea rossa) e le buone idee con crescita lineare (linea viola) le idee geniali rimangono comunque costanti (linea gialla).

Dopo circa sei anni, se desidera rimanere in ambito universitario, il RU può diventare professore associato. Lo stipendio cala, deve preparare le lezioni e ha tutte le rogne e le soddisfazioni che un rapporto studenti-professori può dare. Contemporaneamente può continuare le ricerche nel suo ambito di specializzazione.
Ormai siamo alla cima della piramide della carriera di un ricercatore, il quale dopo anni ed anni di assistenza (e un po’ di "leccatio culi") avrà finalmente la agoniata "cattedra" di Professore Ordinario (PO).

Quello di PO è un ruolo strano, è infatti quanto di più somigliante al "posto fisso" ci possa essere in Italia. Un PO ha buone garanzie di rimanere in quella università per tutta la sua carriera, o fino al decadimento fisico del suo corpo. Contemporaneamente alla sua attività di docente potrà continuare ad esercitare quella di ricercatore. A prima vista questa può non sembrare un’ottima soluzione: dov’è il "far prendere aria ai cervelli"? Dov’è lo "scambio di idee"? La risposta è che, arrivato all’età in cui può essere PO, un ricercatore ha più bisogno di un luogo tranquillo in cui sviluppare le sue ricerche (che, ricordo, possono richiedere anni) che di un soggiorno all’estero per rinfrescarsi le idee.

Cosa c’entra la riforma?

E’ presto detto. La riforma prevedeva la cancellazione immediata del ruolo del Ricercatore Universitario, sostituito da "ricercatori a contratto", assunti per sei anni. Passati i sei anni, in base ai fondi presenti, si sarebbe scelto se rinnovare o no il contratto. Il tutto in nome dell’ "adeguamento dell’università italiana ai modelli stranieri, soprattutto quello statunitense". Il prof, che negli Stati Uniti c’è stato e anche parecchio, sostiene invece che il modello italiano sia copiato malissssimo da quello USA. Là, infatti, se un ricercatore si dimostra in gamba e si impegna nel suo ambito ha la certezza di essere incluso nella lista degli "assistant professor". In Italia invece la riforma prevede un esame di idoneità per entrare nella "ristretta cerchia di ricercatori assunti a contratto".
Questo significa che ricercatori con una lunga esperienza in un campo incredibilmente specializzato (chessò, la teoria delle stringhe nella meccanica quantistica), utilissimo a livello di ricerca ma inutile al di fuori di esso, se non passassero l’esame si troverebbero in braghe di tela.

Perché tutto questo? Semplice, per risparmiare. Riporto l’esempio decisamente calzante del prof: "Se un ricercatore viene assunto per sei anni ma al termine del contratto non ci sono più fondi disponibili perché, chessò, è stato stanziato il progetto di un ponte tra Malcesine e Salò (eh eh eh), questo ricercatore verrà lasciato a casa, senza problemi legali di alcun tipo". Insomma, addio al posto "relativamente fisso" per una delle professioni più specializzate possibili… non male, direi.

C’è da dire che, in seguito alle proteste di tutti gli atenei, la riforma è stata cambiata ed il limite per la cancellazione del ruolo dei RU è stato spostato al 2013. Da quell’anno ufficialmente i RU cesseranno di esistere come categoria lavorativa.
Ma perché il 2013? La risposta è semplice ma allo stesso tempo terribile.
Secondo le statistiche dal 2005 al 2008 andranno in pensione la maggior parte dei professori-cariatide (come li ha definiti il mio prof), ovvero quei lumaconi, presenti soprattutto a Medicina, che insegnano a 195 anni. Essi verranno sostituiti entro il 2010 da coloro che ora iniziano il proprio cammino nell’ambito della ricerca. Insomma, spostando il limite al 2010 il governo si è garantito il silenzio da parte di coloro i quali si iscrivono ad un Phd ora, che non rientrano quindi nella riforma.
Ma perché il 2013 e non il 2010? Perché c’è un’altra categoria di persone che potrebbe brontolare, sono quegli studenti che hanno scelto di avere una carriera nella ricerca scientifica ma non hanno ancora iniziato un Phd. Per lo più queste persone sono all’ultimo anno della laurea specialistica, in quanto durante una laurea triennale è praticamente impossibile avere già le idee chiare riguardo al proprio futuro, se in un’azienda, nell’insegnamento o nella ricerca.
Insomma, la data del 2013 è stata scelta apposta per metterlo in quel posto a noi, studenti della laurea di primo livello, indecisi cronici (come è normale che sia). Con la scelta del 2013 "la funzione ‘casino’ è stata minimizzata", con il risultato che la riforma è passata con le sole proteste degli studenti degli atenei più grossi, dove le minoranze sono sempre minoranze ma per forza di cose più numerose.

Un’ultima postilla: spesso nei TG si è sentito decantare come "idea rivoluizonaria" l’istituzione dei concorsi nazionali per l’insegnamento universitario. Ebbene, i concorsi erano nazionali fino al 1998, quando sono stati ridimensionati in regionali. Dire che i concorsi nazionali sono vantaggiosi perché diminuiscono la possibilità di appoggi mafiosi è una bella idea, ma purtroppo non troppo veritiera. Chi ha agganci a livello regionale riesce facilmente a farsi dare una spintarella anche in un concorso nazionale… insomma, la "rivoluzione dei concorsi nazionali" è pura propaganda, adattissima a far passare come positiva una riforma che invece punta essenzialmente al risparmio senza devolvere un euro in più al mondo dell’università, anzi mettendolo ancora più in bilico sulla lama della precarietà.

nessun titolo

Ci sono canzoni che ho ascoltato molte volte, in particolari momenti della mia vita, ma mai in maniera "intensiva". A volte perche’ non le avevo in cassetta, altre volte perche’ si sentiva male, altre volte perche’ mi stufavo, altre ancora perche’… boh.
Questa fa parte dell’ultima categoria. In realta’ penso semplicemente di essermi sempre detto "un giorno ce l’avrai in Cd, si sentira’ bene e potrai ascoltarla a tutto volume tutte le volte che vorrai".
Ed ora eccomi qui, ho il CD e me la godo. Perche’ e’ davvero una canzone bellissima, di quelle da pelle d’oca, resa ancora piu’ bella dal fatto che la conoscano in pochi.
Se ce l’avete, ascoltatela. Se non ce l’avete, accattatevela.

Jamiroquai – Morning glory

All of my visions were untrue
Till I had a vision of you
And untimely end for all
But it was only then, only then that I saw
Saw the morning glory.

Can’t you take me there
Can’t you take me there
Away from soliloquies of sadness
And prophecies of pain
For us all to see.

I had a vision in my mind
I had a vision of peace
I had a vision of you

nessun titolo

Il professor Giordano Montecchi insegna Storia della musica al conservatorio di Parma ma è soprattutto un rockettaro.
Oggi l’hanno intervistato a Village: ha parlato del progressive italiano e di come sia difficile insegnare storia della musica e parlare anche del rock, del jazz e di come questi nuovi linguaggi hanno marchiato indelebilmente il nostro tempo.

In chiusura di puntata la conduttrice del programma gli ha chiesto quale fosse stata la sua più grande soddisfazione, come professore.  Montecchi ci ha pensato su un po’ e poi ha raccontato di quando, nel 1994, in occasione della morte dello zio Frank fece ascoltare qualche suo brano in aula.
Alla fine della lezione uno studente gli si avvicinò e gli disse: "Sa, professore, io non immaginavo nemmeno che potesse esistere della musica del genere…".

Meno male che ci sono delle persone così!
We go now!

nessun titolo

Potrei passare ore, ore ed ore (e ho paura che quando avrò l’ADSL lo farò) a spulciare i blog in giro per la rete.  Mi affascina tantissimo questa infinito diario pieno di dediche, di pensieri, di foto, di poesie, canzoni, dialoghi, ricordi e fantasie.

Stasera ho trovato qualcuno che, nel suo blog, ha postato una descrizione del rito del "mettere in ordine" che penso mi calzi davvero a pennello.
Eccola qui:

…oggetto dopo oggetto, però, lo spazio vitale cala e inevitabilmente bisogna riordinare.
Così si passa attraverso nuovi stadi:
Primo stadio: Affrontare il caos
E’ il momento in cui ti chiedi perché lo fai, e cerchi se effettivamente non ci sia qualche altro centimetro da utilizzare per far posto al nuovo libro.

Secondo Stadio: Si comincia
Si sceglie un cassetto da liberare, quello dove sai che ci sono solo cianfrusaglie o riviste che non guardi da secoli. Prendere tutto, buttare tutto.

Terzo Stadio: Spostiamo
Liberato lo spazio, è ora di spostare tutte le cose che hanno già una loro precisa collocazione.
Per avere ordine naturalmente. Peccato che da ora in poi il caos non farà altro che aumentare.

Quarto Stadio: Remix
La scrivania è libera, gli appunti sparsi sono raccolti sul letto, libri e cd raccolti in gruppi.
Ora si osservano gli scaffali già occupati. Si sceglie dove posizionare la roba accumulata.
Il resto è uno spostare cose da uno scaffale all’altro per qualche giorno.

Quinto Stadio: Ora va bene.
Tutto quadra, la camera ha un nuovo aspetto, i CD di musica ora sono più accessibili, fumetti che pensavi di aver perso risaltano fuori (evviva), finalmente c’è spazio sulla scrivania.

E ora siete pronti per incasinare tutto di nuovo.
Sì, perché avete ordinato tutto così bene che sugli scaffali non ci sta più nulla e scrivania e altri ripiani torneranno presto un campo di battaglia.

Plain truth!