Tutti siamo d’accordo: no all’accanimento terapeutico.
Quando per una persona non c’è niente da fare, ogni terapia utile è stata provata, ogni diagnosi verificata, la cosa migliore da fare è cercare di vivere al meglio gli ultimi momenti.
Ma cosa fare quando ci si accanisce su un’idea?
Cosa fare quando un intero sistema di valori, di credenze, di cose date per scontate sembra accartocciarsi, solo perché lo si è guardato a fondo?
E’ vero che le cose vanno viste da vicino per vederne le imperfezioni, ma è proprio quando qualcosa pretende di esserne esente che la critica si fa più distruttiva.
Allora comincio a chiedermelo: non sarà un accanimento terapeutico, il mio, su un’idea che mi sembra sempre più pericolante ma che continuo a sostenere, per il semplice fatto che mi terrorizza il fatto di farne a meno? Lo so, sono un dubbioso professionista, un anarchico dialettico, un eterno pessimista del logos, ma che ci posso fare? Mi sento un cretino a non pormi domande, e un insicuro quando mi rendo conto che non so darmi risposte.
E la cosa diventa tragica, a volte, quando mi specchio e scopro che credo di star insegnando qualcosa a qualcuno, invece sono come un capitano cieco, di una nave della quale forse non conosco nemmeno la rotta.
E mi tornano in mente le parole del mio maestro di Karate: "a qualcosa si deve credere, prima o poi si arriva tutti a capire che c’è qualcosa in più, che non si esaurisce tutto qui".
Io stasera credo che basti questo.
Se voleva di più, poteva essere più chiaro.