scienze della disoccupazione

Scienze della comunicazione è il corso in Scienze della disoccupazione per antonomasia.
E io, orgogliosamente laureata in Comunicazione, mi trovo più o meno d’accordo. Gli insegnamenti non mirano a creare una figura professionale precisa; quando esci sei un comunicatore, ma la prima cosa che impari è che tutto e tutti comunicano sempre.

La mia proposta non è però di abolire i corsi bensì di estendere i suoi insegnamenti a tutti gli istituti superiori. Tutti.
Perché è allucinante quello che sta succedendo in questi giorni – e quello che succede da troppi anni in Italia –  e cioé la mala informazione, o meglio l’assenza di informazione vera.
Ok, storia vecchia: le notizie sono faziose, i giornali sono di parte, tanto ci dicono solo quello che vogliono farci sapere.
Già, lo sappiamo tutti, ma spesso ce ne dimentichiamo quando ascoltiamo i giornali o guardiamo i tg. Prendiamo per oro colato quello che dice il tale e poi ci prendiamo anche la libertà di scrivere a qualche direttore di giornale la nostra opinione in merito, aggiungendo alla fine " anche se ammetto di non essermi troppo informato".

Credo che un po’ di semiotica farebbe bene a tutti: aiuterebbe a ricordarsi che un sinonimo non è la stessa parola e può cambiare il tono di un’intera frase, anche se non sembra.
Credo che conoscere quanto cambia la nostra ricezione di una notizia in base alle immagini che vediamo, alla musica di sottofondo o allo sguardo delle persone inquadrate o intervistate sia un esercizio di libertà, che sveglierebbe la curiosità di molti che, prima di farsi un’opinione, magari cercherebbero qualche fonte in più.

Sulla scuola e sulle manifestazioni degli studenti non si sta facendo disinformazione o informazione faziosa, si sta facendo confusione e basta. Sembrano le chiacchere fatte al bar: le notizie arrivano ad ondate, non si cerca nemmeno di raccontarle, di darne un’interpretazione: si guarda fuori dalla finestra per un po’ e si scrive. Magari aggiungendo qualche ipotesi "magari questi vogliono rifare il ’68" (nulla di più lontano dal vero). E la gente che ascolta la tv la sera stanca, o che legge gli strilloni passando davanti ad un’edicola riceve solo slogan, solo flash e si costruire nella testa un’altra storia, più o meno distante dalla realtà.

Ma sono soltanto parole, in fin dei conti, no? Il nostro presidente del consiglio ci dimostra quanto poco valgano le parole. Ma è qui l’errore. Una cosa detta, ridetta, ripetuta e amplificata finisce per essere creduta più qualsiasi fatto reale. È una palla di neve che diventa valanga e che rischia di schiacciare persone reali, non parole.

Ecco perché tutti dovremmo avere gli strumenti per comunicare, chi comunica e chi riceve e ricomunica a sua volta.
Perché le parole possono essere molto più pericolose di quanto il cittadino che scrive al direttore pensando di fare un atto di libertà possa pensare.

Delfino Edmondo Borroni (1898-2008)

Al Mondo ci sono ormai solo SETTE reduci della prima guerra mondiale.
In Italia fino a ieri ce n’era uno, oggi non ce ne sono più.

«Caporetto è stato il posto peggiore che ho visto durante la guerra. La vita in trincea era terribile, il freddo, la fame, il rombo delle granate, poi c’erano gli attacchi con il gas. Quando pioveva, poi, si aveva la tentazione di dormire, ma quello era il momento in cui un attacco era più facile, allora il capitano passava, con indosso il suo cappello nero e ci urlava di stare all’erta. Una sera dei soldati del suo battaglione fuggirono dall’accampamento per andare a trovare le loro mogli, che vivevano in un paese lì vicino. Furono scoperti e mandati davanti al plotone d’esecuzione, ma noi compagni impedimmo la loro morte urlando “allora ammazzateci tutti”, perché tanta era la nostalgia delle nostre famiglie».

«Il sergente mi disse di uscire a vedere la situazione fuori dalla trincea. Io gli chiesi perché mandava a morire me che ero il più giovane e lui mi rispose che tutti gli altri avevano figli. Allora uscii strisciando, ma un proiettile mi colpì subito sullo scarpone. Mi finsi morto accanto a due cadaveri di altri soldati e quando gli austriaci se ne andarono, raggiunsi i miei compagni in ritirata. Il sergente mi prese la testa sulle ginocchia e pianse».

«Una volta, in prigione, cominciai a urlare, volevo scrivere alla mia famiglia che da sette mesi non aveva notizie. L’ufficiale austriaco mi rispose: "io è da dieci anni che non torno a casa", ma poi mi diede un foglio e una penna».

La politica della paura

"Sai cosa c’è? Alla fine uno si rompe le balle di avere paura. Ho 22 anni e vivo ogni giorno a sotto ricatto. Paura di non farcela a riscattare tutti i crediti, del contratto da precario in scadenza, di non poter più pagare l’affitto e dover tornare dai miei, di non trovare un vero lavoro dopo la laurea, della crisi mondiale e dell’aumento delle bollette. Campo a testa china e tiro avanti sperando che domani sia migliore. Ma se mi dicono che domani non c’è più, l’hanno tagliato nella finanziaria, allora basta. Non mi spaventa più Berlusconi che dice di voler mandare la polizia. Non mi spaventa nulla, sono stufo. E finalmente, respiro"

(…)

Quando i telegiornali della sera hanno diffuso il diktat poliziesco di Berlusconi, i ragazzi più grandi hanno brindato con birre e applausi, fra gli sguardi perplessi e intimoriti delle matricole. Che c’è da festeggiare se il premier minaccia manganellate? "Il fatto è che gli stiamo mettendo paura, noi a loro. È la reazione scomposta di uno che si sente debole, che non si aspettava tutto questo, non ha una strategia e pensa di risolvere al solito modo, con la polizia, come si trattasse di rifiuti, camorra o periferie insicure".

(…)

"La mia vita attuale è questa. Studio come un pazzo per finire in fretta e bene, lavoro in un call center, dormo in una camera a 500 euro al mese. E sopporto pure che un Padoa- Schioppa o un Brunetta o una Gelmini mi diano del bamboccione o del fannullone. Ma non che taglino i fondi all’università per fare affari con l’Alitalia, aiutare la Fiat o le banche dei loro amici. La crisi io non la pago. Questa settimana di proteste è stata la più bella esperienza di questi anni. Si respira, si parla, si discute dei sogni, del futuro. Penso sia un mio diritto. Ai vostri tempi era magari diverso. I corsi universitari duravano mesi, avevi sempre gli stessi compagni, gli stessi professori. In ufficio o in fabbrica eri solidale con l’altro operaio o impiegato. Ora io seguo decine di corsi dove non incontro mai le stesse persone e poi lavoro in un call center dove il mio vicino di scrivania cambia sempre, a ogni turno, senza contare che abbiamo tutti le cuffie e non c’è neppure la pausa caffè. In questi giorni ho alzato la testa, mi sono guardato intorno, ho conosciuto studenti da tutta Italia, mi sento vivo".

(…)

"Negli Stati Uniti, il paese più malato di iper capitalismo, l’università pubblica rimane ancora fortissima. Uno studente di Fisica può scegliere di pagare quattromila dollari a Berkeley o quarantamila a Stanford, ma la qualità è la stessa, alla fine si spartiscono lo stesso numero di premi Nobel. Per non parlare dell’Europa. Qui invece fra pochi anni l’istruzione pubblica, di questo passo, sarà relegata alla marginalità, alla serie B, a quelli che non possono permettersi di meglio. Il tema è enorme, tocca l’essenza dei diritti di cittadinanza, ma temo che non passerà. Criminalizzeranno la protesta, faranno scoppiare qualche incidente, e i media andranno dietro l’onda, l’altra, quella del potere. Bisognerebbe bucare questo muro di conformismo, ma come?"

Il resto è qui.

Al prossimo Summit del G8 (ovvero la situazione diplomatica dell’Italia Berlusconiana dopo le sparate di ieri)

Berlusconi si rivolge a Putin (che verra’ invitato al G8 al posto di Medvedev, perche’… chi cazz’e’ Medvedev???)

Silvio: Vlad, scusami, ma ho visto che fuori stavano portando via con il carro attrezzi il tuo SUV della Dacia da 125.000 euro… non e’ che per caso avevi parcheggiato un po’ a cavallo delle righe?

Putin: Compagno Silvio (ironico), Cribbio (due volte ironico), hai proprio ragione! Speravo tanto che nessuno se ne sarebbe accorto! Ora corro a recuperare il mio SUV col motore da 500 cavalli fiscali cosacchi!

dopo cinque minuti Putin ritorna nella stanza, la riunione e’ gia’ cominciata e tutti lo guardano storto. Si siede a fianco di Berlusconi e gli sibila…

Putin: Silvio, ma che minchiazia dici? Il mio SUV e’ ancora parcheggiato li’, nessuno l’ha toccato! Perche’ mi hai detto che lo stavano rimuovendo?

Silvio: Vlad, ma sei tu che hai capito male. Io non ho mai detto nulla del genere. Cos’hai oggi? Mi sembri un po’ polemico…

Non-non-violenza

«Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interni. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano. Soprattutto i docenti. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì»

(grazie a Wittgenstein.it)

Sarebbe gia’ grave se una affermazione del genere provenisse, che ne so, da un ex ministro degli interni ora in carcere per qualche abuso d’ufficio.

Peccato che invece queste parole, di ieri, siano di Francesco Cossiga. Ex ministro degli Interni, ex presidente del Consiglio, ex presidente del Senato, ex presidente della Repubblica. Attuale senatore a vita e presidente emerito, vivente e in buona salute.

Cossiga non e’ nuovo a questo genere di esternazioni, e la sua linea d’azione e’ nota. Il nome di Giorgiana Masi a molti non dira’ nulla, anche a me non diceva nulla fino a ieri, ma basta leggere un po’ di qua e di la’ per fare delle scoperte inquietanti, e ben documentate da atti giudiziari.

In un paese con una democrazia normale si chiederebbero a gran voce le dimissioni di questo senatore, cosi’ come quelle del Primo Ministro Schizofrenico. Invece no. Evidentemente agli italiani vanno bene i furbi, anche se contraddittori. Vanno bene i violenti, purche’ sbandierino la paura del terrorismo, e cosi’ tengano buoni gli animi.

Scriveva ieri una persona sul newsgroup it.arti.musica.rock: "Non credo che stiamo andando verso uno stato fascista. E’ chiaro che il governo del Berlusca ha preso in mano un Paese sbandato in cui
democrazia stava diventando sinonimo di anarchia e fancazzismo. Un po’ di spauracchio e di mano dura ci stava."

Un po’ come col vicino di casa: quando comincia a prendersi un po’ troppe liberta’ gli si bucano le gomme della macchina, o gli si versa acqua e sale nei vasi delle piante, cosi’ capisce come funzionano le cose.

Lo spaccato di questo paese, un paese spaccato

Ugo

Ieri: «Vorrei dare un avviso ai naviganti molto semplice: non permetteremo che vengano occupate scuole ed università, perché l’occupazione di posti pubblici non è una dimostrazione o un’applicazione di libertà, non è un fatto di democrazia: è una violenza nei confronti degli altri studenti, nei confronti delle famiglie, nei confronti delle istituzioni e dello Stato. Convocherò oggi il ministro degli Interni e darò a lui istruzioni dettagliate su come intervenire attraverso le forze dell’ordine per evitare che questo possa succedere»

Oggi: «Non ho mai detto né pensato che servisse mandare la polizia nelle scuole. I titoli dei giornali che ho potuto scorrere sono lontani dalla realtà

Allora, i casi sono due: o Berlusconi (come ho sempre sospettato) ha un fratello gemello cattivo (o il gemello è quello buono?) di nome Ugo che si diverte a sparare minchiate dalla mattina alla sera aspettando solo che il giorno dopo il gemello ritratti, oppure è schizofrenico.

In entrambi i casi, possibile che non ci siano gli estremi per una bella rimozione dall’incarico?

P.S. Intanto all’estero chissà che risate…

incazzare

Questo sarebbe un periodo di progetti. Dovrebbe essere un periodo felice, carico di quell’ansia mista a eccitazione che precede tutti i grandi cambiamenti, le tappe o l’inizio di una strada, nuova, ma a cui si è pensato tanto.

Ma è difficile fare progetti quando ti dicono che c’è crisi
         c’è recessione
                                   non c’è lavoro
                                                            l’università pubblica la stanno buttando nel cesso
                                                                                 l’economia si è fermata
          le case costano tanto, anche se nessuno le compra

Dovrebbe essere un periodo felice e invece è un periodo incazzato.
Perché ogni giorno si sente parlare di numeri a sette otto dieci cifre.
Che per chi ha fame non ci sono mai
         per chi ne ha fatti tanti, in tutti i mondi, ce ne sono ancora
         per chi sta cercando di crearsi una cultura vengono tolti
         per chi non vuole rinunciare ai privilegi si tirano fuori

Questo mi fa molto incazzare, anche se dovrei essere felice. Molto, molto incazzare

Lettera al preside di facoltà (my two cents)

Gentile professor Giacobazzi,

immagino avrà la casella di posta intasata e ben poco tempo per leggere la posta che le arriverà in questi giorni. D’altra parte sento l’esigenza di scriverle, e in fondo non importa quando avrà tempo di leggere questa mail. Ad ogni modo, cercherò di essere telegrafico!

Desidero semplicemente ringraziarla, come studente e come cittadino, per il contributo che sta dando in questi giorni all’università di Verona e alla (ri?)nascita di una coscienza critica negli studenti. Il suo intervento stamani durante l’assemblea è stato assolutamente chiaro e puntuale, così come gli altri interventi di questi giorni sotto forma di comunicati ed e-mail alle varie mailing-list degli studenti.

Sono conscio del fatto che noi studenti, in questa diatriba, appariamo come dei fantasmi, privi di una precisa volontà e poveri di iniziative. La verità è che siamo tutti molto disorientati. La riforma in discussione è stata varata da un governo eletto dalla maggioranza degli italiani, compresa la maggioranza dei nostri genitori (soprattutto qui a Verona) e, perché no, dei nostri amici. Molti elettori, molti ministri e politici fanno parte di quella parte di italiani che da giovane ha "fatto il ’68". Questo non ce lo dimentichiamo, anzi ci confonde ancora di più le idee. E’ facile, per un sessantenne come il professore che è intervenuto stamattina, darci degli smidollati, ma non credo che la risposta giusta sarebbe scendere in piazza a rovesciare i cassonetti o gridare slogan da stadio. Non ha funzionato benissimo quarant’anni fa, e credo funzionerebbe ancora meno adesso, soprattutto in un ambiente come quello veronese (e veneto) dove si è abituati a ragionare per categorie e vedere tutto in bianco e nero.
Non è facile costruirsi un pensiero critico di questi tempi, non è facile avere le competenze per capire questioni come la crisi economica o la riforma universitaria e soprattutto non è facile trovare delle fonti di informazione di cui fidarsi. Telegiornali e giornali stanno perdendo credibilità ogni giorno, ed anche per questo ritengo che la presa di posizione netta da parte della maggioranza del personale docente della facoltà sia stato un segno molto evidente sul piano comunicativo.

Credo che l’assemblea di stamattina sia stata un grande momento di vita universitaria. Un momento di dialogo vero, anche se noi studenti abbiamo parlato poco. Abbiamo ascoltato molto, però, e voi professori sapete quanto sia importante. Siamo disposti ad ascoltarvi, a creare uno scambio di conoscenze. Da questo punto di vista siamo molto, molto più avanti del ’68. Mi auguro che nel consiglio di facoltà di mercoledì, qualsiasi decisione venga presa, si scelga di portare avanti in qualche forma questo dialogo che si è instaurato, e da noi studenti arrivino delle forme di protesta sensate ed efficaci tanto quanto quelle prese da voi professori.

La ringrazio ancora, e le auguro un buon lavoro