Doors

Due anni fa scrivevo su un blog ed avevo un’agenda. L’agenda era piena di parole e di colori, ogni giorno scrivevo qualcosa. Con il blog ero invece meno assiduo, ma comunque almeno una volta alla settimana uno sfogo, un link, un’immagine o una citazione finiva sulle pagine di SoleLuna.

Poi venne Facebook, vennero i Feed e la condivisione dei contenuti. Molti post persero di senso e migrarono ai social network, prima il blog e poi l’agenda si svuotarono e un po’ si spensero. Vennero le lauree, quella di Sisila prima e la mia poi, si sovrapposero gli impegni e il blog finì sempre più in disparte, quasi a diventare una lavagna su cui dover ogni tanto scrivere qualcosa.

Quando quel blog iniziò la sua storia, nel 2004, voleva essere un appartamento virtuale, un monolocale nel quale Sisila ed io avremmo potuto sentirci un po’ a casa insieme. Ora questa casa insieme si è concretizzata in un appartamento – per fortuna non un monolocale – nel comune più bello d’Italia, ed abbiamo deciso di far traslocare anche il blog.

Internouno sarà qualcosa di diverso da Sole-Luna, inevitabilmente. Il web è cambiato e noi pure, forse ci saranno meno link e più storie; forse ci saranno più post o forse meno. Sicuramente avranno un’impronta nuova.

Perché in fondo sappiamo entrambi che nessun articolo condiviso, nessun “mi piace” e nessun tweet può sostituirsi all’atto, terapeutico e intimo, dello schiacciare il tasto pubblica

Yoany Sanchez sequestrata e malmenata a Cuba

Nei pressi di calle 23, proprio alla rotonda dell’avenida de los Presidente, abbiamo visto arrivare a bordo di un’auto nera – di fabbricazione cinese – tre robusti sconosciuti: “Yoani, sali in auto” mi ha detto il primo afferrandomi con forza per un polso. Gli altri due trattenevano Claudia Cadelo, Orlando Luís Pardo Lazo e un’amica che ci accompagnava a una marcia contro la violenza. Ironia della vita, quella che doveva essere una giornata di pace e concordia si è trasformata in una serata carica di botte, grida e male parole. Gli stessi “aggressori” hanno chiamato una pattuglia che si è portata via gli altri miei due compagni, Orlando e io eravamo condannati all’auto con targa gialla, lo spaventoso terreno dell’illegalità e dell’impunità per l’Armageddon (1). Mi sono rifiutata di salire sul brillante Jelly e abbiamo preteso che si identificassero e mostrassero un mandato giudiziario che li autorizzasse a portarci via. Non ci hanno fatto vedere nessuna carta che provasse la legittimità del nostro arresto. I curiosi si accalcavano intorno e io gridavo: “Aiuto, questi uomini ci vogliono sequestrare”, ma loro hanno fermato chi voleva intervenire con un grido che rivelava tutto il fondamento ideologico dell’operazione: “Non vi intromettete, questi sono dei controrivoluzionari”. Di fronte alla nostra resistenza verbale, hanno preso il telefono e hanno detto a qualcuno che doveva essere il loro capo: “Cosa facciamo? Non vogliono salire sull’auto”. Immagino che all’altro lato la risposta sia stata categorica, perché dopo ci hanno riempito di botte e spintoni, mi hanno caricato con la testa verso il basso e hanno tentato di infilarmi nell’auto. Ho afferrato la porta, ricevendo colpi sulle mani, sono riuscita a togliere un foglio che uno di loro portava in tasca e me lo sono messo in bocca. Mi sono presa un’altra scarica di botte perché restituissi il documento. Orlando era già dentro l’auto, immobilizzato da una mossa di karate che lo faceva stare con la testa verso il pavimento. Uno ha messo le sue ginocchia sul mio petto e l’altro, dal sedile anteriore mi colpiva nella zona dei reni e sulla testa per farmi aprire la bocca e liberare il documento. Per un istante, ho temuto che non sarei più uscita da quell’auto. “Sei arrivata fino a qui, Yoani”, “Adesso la finirai di fare pagliacciate”, ha detto quello che era seduto accanto all’autista e che mi tirava i capelli. Nel sedile posteriore si poteva assistere a uno spettacolo molto strano: le mie gambe verso l’alto, il mio volto arrossato per la pressione e il corpo indolenzito, all’altro lato c’era Orlando conciato male da un picchiatore professionista. In un gesto di disperazione sono riuscita ad afferrare, dai pantaloni, i testicoli di questo personaggio. Ho affondato le mie unghie, supponendo che lui avrebbe continuato a schiacciare il mio petto fino all’ultimo respiro. “Uccidimi adesso”, gli ho gridato, con il fiato che mi restava, ma quello che stava nei sedili anteriori ha detto al più giovane: “Lasciala respirare”. Sentivo Orlando ansimare e le botte continuavano a cadere su di noi, ho pensato per un attimo di aprire la porta e gettarmi fuori, ma all’interno non c’era una maniglia utilizzabile. Eravamo nelle loro mani ma ascoltare la voce di Orlando mi rincuorava. In seguito lui mi ha detto che gli accadeva lo stesso ascoltando le mie parole rotte dai singhiozzi… perché gli dicevano “Yoani è ancora viva”. Ci hanno lasciati in pessime condizioni, scaraventandoci in una strada della Timba, una donna si è avvicinata: “Che cosa vi è successo?”… “Un sequestro”, ho risposto. Ci siamo messi a piangere abbracciati in mezzo al marciapiede, pensavo a Teo, non sapevo come avrei potuto spiegargli quel che avevo passato. Come potrò dirgli che vive in un paese dove succedono queste cose, come potrò guardarlo e raccontargli che sua madre è stata malmenata in mezzo alla strada perché scrive un blog dove esprime le sue opinioni in kilobytes. Come potrò descrivergli il volto autoritario di chi ci ha fatto salire con la forza su quella macchina, il piacere che si leggeva sui loro volti mentre ci percuotevano, alzavano la mia gonna e mi trascinavano seminuda verso l’auto. Sono riuscita a vedere, nonostante tutto, il livello di agitazione dei nostri aggressori, la paura del nuovo, delle cose che non possono distruggere perché non le comprendono, il terrore del gradasso che sa di avere i giorni contati.

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

A cruel truth

Fra i tanti eventi sociologicamente importanti del terzo millennio che passeranno alla storia, sono sicuro che un posto sarà riservato di diritto al fenomeno delle boy-band. Prodotti commerciali progettati a tavolino allo scopo di vendere a folle di ragazzine sessualmente inferocite lo sfogo ai loro bollenti spiriti, garantendo oltretutto il vantaggio di non rinunciare allo status di anime pie e pure che tanto gli si conviene. Eh sì, perché il nostro evolutissimo modo di pensare non permetterebbe mai a una ragazza in piena pubertà di provare desideri sessuali come natura comanda, ma solo candide fantasie di amori romantici color azzurro principe, pena il severo giudizio di tutta la comunità.

Disumano, direte voi, forse stupido. Ma la nostra società funziona così, tanto che questo fenomeno ci appare oggi normale e conclamato. Per coloro che danno la colpa di tutto ciò al maschilismo, sarebbe il caso di prendere in considerazione che anche nel mondo maschile esiste un corrispettivo altrettanto disumano. No, non sto parlando delle “girl-band” come sarebbe ovvio pensare, bensì di alcune metal band. Sì, perché moltissimi ragazzi hanno l’esigenza – opposta rispetto alle ragazze – di mostrare virilità e mascolinità e nascondere vergognosamente la loro anima sdolcinata, romantica e pacchiana. Sarebbe sconveniente, infatti, per un ragazzo di 20 anni, mostrare passione per sentimenti degni dei peggiori melodrammi gigidalessiani, o essere beccato da qualche amico mentre esce dal supermercato con in mano uno di quei romanzi Harmony che campeggiano davanti alle casse a prezzi stracciati. Come ci rimarrebbero gli altri, poi, se sapessero delle rime dedicate alla inarrivabile compagna di liceo scritte su diari segreti nascosti nel doppiofondo del proprio cassetto personale accanto alle videocassette con tutti gli episodi di Fantaghirò?

Ecco quindi che l’unica scappatoia per questi poveri ometti sensibili e indifesi, che sentono su di loro la pressione della società omologatrice che li forza dentro schemi che non gli appartengono, si concretizza come una sola: comprare la discografia dei Dream Theater. Così potranno struggersi in lacrime di passione sull’assolo “lento” di "A Change Of Season", o toccare il sentimento assoluto su "Through Her Eyes", mantenendo però di fronte a tutti l’austero aspetto dell’uomo serio che ammira i dettagli “tecnici” della “vera musica”. Potranno dire con la faccia da veri duri “Oh, hai sentito la rullata in 17/16 al quinto minuto virgola quattordici di Erotomania? Ieri ho provato a rifarla e mi sono slogato un polso! Che mostro Portnoy!” e intanto pensare “Povero Julian, che fine grama che ha fatto per colpa di quel bastardo di suo fratello, in fondo fra lui e Victoria era vero amore! Ma tanto Victoria vive ancora, l’amore vince sempre, love is davvero the dance of eternity!!” (…)

Il resto di questo splendido trattato di psicologia giovanile di Stoney, abilmente mascherato da recensione musicale, si trova su DeBaser. Ve lo consiglio!

Sogni

da Generacion Y

"Me ne vado con il nipote più piccolo a passeggiare per le strade di un’Avana diversa e al tempo stesso familiare. Non gestisco più un blog e i miei settant’anni si vedono in ogni ruga del volto e nella lunga treccia bianca. Tutto questo potrebbe essere soltanto una fantasia futurista dai toni oscuri, ma preferisco credere che camminiamo in una città rinata e prospera. Ce ne andiamo in un parco a prendere il sole e cerco – come ogni anziano – di parlarle dei miei tempi, di quegli anni nei quali avevo la magrezza e l’energia che lui mostra adesso. 

Lo spagnolo è ancora la lingua madre dei miei figli, ma il ragazzo mi guarda come se non comprendesse ciò che dico. Si mostra perplesso quando parlo di “periodo speciale”, “tessera di razionamento” e “fedeltà ideologica”. I suoi problemi sono così differenti che non può capire le cose del mio passato. Mostra senza pudore di non conoscere bene la storia e chiama un leader scomparso con il nome di un cantante di salsa. Non riesce a comprendere la differenza tra il carattere socialista della Rivoluzione e la fine dell’Unione Sovietica.

Non mi zittisce per rispetto, ma nei suoi occhi leggo che tutte le mie chiacchiere lo annoiano. “La nonna è rimasta indietro nel tempo” dirà quando me ne sarò andata, ma davanti a me finge di ascoltare gli sfasati aneddoti di una Cuba remota. Questo ragazzo non sa che soltanto il presagio della sua venuta al mondo, quarant’anni prima, mi ha permesso di mantenere il buon senso. Immaginarlo, seduto in un parco dell’Avana futura, con la sua smorfia di incredulità, mi ha impedito di prendere il cammino del mare, della simulazione o del silenzio. Sono arrivata sin qui grazie a lui e invece di dirglielo, lo infastidisco con i miei aneddoti su ciò che è accaduto, su ciò che mai tornerà a ripetersi."

in chains or in wonderland?

Dal blog di Vittorio Zucconi:

"In attesa dello show di Silvio Berlusconi davanti al proprio ciambellano a Porta a Porta, suggerisco, come chiave di interpretazione delle parole che sentiremo scorrere, questo dialogo fra Alice e la Regina Rossa, nel meraviglioso “Attraverso lo specchio” di Lewis Carrol:

Ma nel nostro paese, — disse Alice, che ancora ansava un poco, — generalmente si arriva altrove… dopo che si è corso tanto tempo come abbiamo fatto noi.
Che razza di paese! — disse la Regina – Qui invece, per quanto si possa correre si rimane sempre allo stesso punto. Se si vuole andare in qualche altra parte, si deve correre almeno con una velocità doppia della nostra.
L’Italia è Alice. Ha ormai attraversato lo specchio e le parole significano soltanto, come dice il Cappellaio Matto, quello che il Cappellaio Matto vuole che significhino. Se si accetta di vivere nel regno delle meraviglie, tutto si spiega, e niente si spiega. E sul regno dell’assurdo e del nonsense si stende rassicurante il sorriso dello Stregatto. Lasciate perdere editoriali, blog, talk show, saggi. Per capire l’Italia del 2009 si deve leggere Lewis Carrol."