Revolution 2009

Io, in vita mia, non ho mai comprato un computer.

Mi spiego meglio: non ho mai comprato un PC con i miei soldi e, soprattutto, non ho mai comprato un PC tutto intero. Per anni, un bel po’ di anni, i miei PC sono stati regalati dallo zio, smessi da un’azienda o da qualche amico. Qualche upgrade hardware, per lo più RAM e dischi fissi, ma niente di più.

Da un po’ di tempo però non ce la facevo proprio più con il mio vetusto 700Mhz, ma dall’altra parte sentivo anche l’esigenza di prendermi un portatile. Magari uno di quei Netbook tanto carini che stanno in un palmo di mano. Come risolvere la questione? Un upgrade al PC desktop di casa, con il problema però della portabilità a zero, o un portatile mini che non mi avrebbe permesso un uso intensivo come il PC di casa?

My laptopLa soluzione ovviamente sta nel mezzo, anzi di lato. E’ così che, svuotando il mio libretto di risparmio, mi sono comprato un bel Packard Bell, portatile, da 15,4”. L’ho acquistato oggi alle 18.00 e ovviamente ho già installato Ubuntu, ed è da lì che sto scrivendo! =P

Che dire, la soddisfazione c’è. Scegliere il PC, vedere se i soldi ci sono, comprarlo, portarlo a casa ed installarci sopra, senza il minimo problema, il proprio Sistema Operativo preferito. Se non sono soddisfazioni queste…

Adesso manca sono una bella rete wireless. Ma una cosa per volta, direi 😉

De Faccialibrum

In Italia Facebook va di gran moda. Ha avuto una crescita di contatti, negli ultimi mesi, del nonsoquantecentinaia-per-cento e probabilmente il trend non si è ancora concluso.

Chiaramente il tempo a disposizione nelle giornate degli italiani non è aumentato, e quindi il traffico su Facebook è andato a discapito delle altre forme di utilizzo del web, specialmente del cosiddetto "web 2.0". Per farla breve, da quando il Faccialibro ha iniziato a diffondersi in modo capillare molti blog e soprattutto molti newsgroup hanno visto diminuire giorno dopo giorno il numero di post pubblicati. In certi casi si è assistito addirittura alla proposta della chiusura di alcuni newsgroup proprio perché la stragrande maggioranza degli utenti dell’NG ormai è iscritta, su Facebook, ad un gruppo sullo stesso argomento e nel quale posta più spesso. O almeno pensa che posterà più spesso.

La notizia di per se’ non è né buona ne’ cattiva, ma da modo di riflettere su alcuni punti. Innanzitutto su cosa siano – e a cosa servano – Facebook, i newsgroup, i blog.

Un newsgroup in fondo è una bacheca pubblica, dove qualsiasi utente può scrivere la propria opinione in merito ad un argomento e beccarsi la conseguente mole di insulti perché è un incompetente. Su Facebook lo stesso fenomeno si presenta, con le stesse dinamiche, ma con una piccola differenza: Facebook è un sito privato, occorre iscriversi per postarvi ed, iscrivendosi, si sottoscrive un contratto che nessuno di noi iscritti a Facebook, o quasi, si è preso la briga di leggere e soprattutto di capire. I newsgroup invece sono pubblici. Non ho mai capito bene dove diavolo risiedano e come funzionino, fatto sta che è possibile accedervi da qualunque motore di ricerca che abbia una funzione apposita e, per postarvi, non è necessario autenticarsi presso un fornitore di servizi specifico.

I blog, invece, sono tutta un’altra cosa: un diario online che una persona tiene, e questo è il mio personalissimo parere, perché il proprio ego lo spinge a divulgare il suo pensiero a quante più persone possibili. Parte della goduria dell’avere un blog sta nello spulciare i propri vecchi post e riguardare quanto eravamo innocenti-fighi-stupidi-ignoranti-saggi-sfigati-profondi. Inolte il blog è roba "nostra". Non ho mai letto la licenza di Splinder, e non so quale diritti possa accampare sui miei post e sul loro contenuto, ma so che con un semplice plugin di wordpress posso copiare in pochi minuti l’intero contenuto di questo blog in un file XML e farne l’upload in un altro sistema, magari in un dominio comprato per l’occasione. Su Facebook tutti i contenuti postati sono sottoposti alla licenza sottoscritta dall’utente ma inoltre non c’è alcun modo pratico per accedere ad informazioni che un utente ha immesso in passato. Semplicemente perché Facebook non serve a questo: Il Faccialibro è l’equivalente della piazza, un posto dove conosci persone nuove e incontri i vecchi amici, ti metti d’accordo con loro e chiaccheri. Chi vorrebbe leggere gli stati o i link pubblicati dai propri amici anche solo un mese fa?

La domanda è: la comodità (supposta, perché chiunque utilizzi un newsreader sa quanto sia più comodo) di Facebook supplisce alla perdita di tutte queste caratteristiche?

La risposta è evidentemente sì, visto che sempre più persone passano dai newsgroup e dai blog al solo proprio account sul Faccialibro. Il motivo di tutto questo secondo me è principalmente uno: su Facebook ci sono i nostri amici.

Spesso mi capita di scrivere un post qui su SoleLuna e poi, se ritengo che parli di qualcosa di interessante per gli altri, condividerlo con gli amici su Facebook. In fondo i miei amici sono le prime persone alle quali vorrei far sapere una cosa che trovo interessante, o una mia riflessione su un argomento. E’ normale quindi che segnali a loro la notizia che ho trovato, o il pensiero geniale che ritengo di aver avuto.
A questo punto, dopo due-tre post segnalati su Facebook, uno si chiede: "ma perché anziché andare su Splinder e postare non inserisco una bella ‘nota’ in Facebook e così tutti i miei amici la vedranno automaticamente?"
La domanda è legittima, e sempre più persone non trovando alcuna risposta mollano il proprio blog e si spostano sul faccialibro.
Lo stesso fenomeno, con poche varianti, si applica ai newsgroup: perché dovrei chiedere su IAMRP qual è il miglior disco dei Van Der Graaf quando posso chiederlo direttamente a Napra, o a sua maestà Il Faraone, che sono miei amici su Facebook?

Dal punto di vista dell’utente che aveva un blog, o che postava sui newsgroup, il ragionamento non fa una grinza, ci sono molti vantaggi e pochi svantaggi. Dal punto di vista dell’ "ecosistema web" però le ripercussioni ci sono.
Un newsgroup è una bacheca dalla quale nessuno toglie mai i foglietti, così come un blog è un diario che tutti possono leggere. Quando cerco la recensione di un disco cerco prima su DeBaser, poi su Google Groups ed infine nei blog. Non me ne può importare di meno dell’opinione del critico prezzolato di Repubblica, io voglio il parere dei fan hardcore e ipercritici! Idem per i film, o addirittura se cerco dei pareri riguardo ad un’azienda alla quale ho inviato il mio curriculum. Se però comincio a chiedere le recensioni dei dischi soltanto a Napra o al Faraone, direttamente sul loro profilo su FB, e recensisco i dischi che mi piacciono su LivingSocial, chi cercherà un’opinione su quel disco troverà la mia? Di sicuro non il consiglio che mi ha dato un amico scrivendo sulla mia bacheca. Al massimo troverà la mia recensione su LivingSocial, ma solo se anche lui si è iscritto alla medesima applicazione. Ovviamente questo si può ampliare a qualsiasi altro ambito, dalla politica agli spettacoli.

Se non avessi mai cercato un newsgroup sul rock non avrei mai conosciuto gli amici che ora mi consigliano su FB, così come se nessuno avesse scritto di ciò che li irrita della politica italiana sul proprio blog, ma lo avesse inserito come nota su FaceBook, io non l’avrei mai letto e avrei continuato a formare la mia coscienza politica su Repubblica.it, Comedonchisciotte (per dire!) e Ansa.

Non vorrei che, a lungo andare, lo spopolare di Facebook provocasse un buco nella diffusione delle opinioni e della conoscenza nel web, un travaso di un’immane quantità di informazioni da un ambito libero, pubblico e utile per gli altri ad un altro non solo privato, ma ristretto di fatto ai propri amici.

Per quanto mi riguarda continuerò a postare qui le mie riflessioni e le notizie che il mio ego vorrebbe far sapere al mondo, riservando per Facebook tutto ciò che direi ai miei amici se li avessi nella stanza insieme a me.

Aggiornamento: questo post, pubblicato da me su IAMRP, ha sollevato un tot di interventi, alcuni dei quali molto interessanti. Lo trovate qui.

Waiting room

Ho dato l’ultimo esame.

Non so se sarà l’ultimo appello, non so ancora il risultato, ma l’esame era l’ultimo. Perché dopo non ce ne sono altri, neanche uno!!!

L’ho dato venerdì, e da allora "si sta come coloro che son sospesi". Come direbbe mia nonna. O Dante.

Stasera usciranno i risultati. Finalmente.

E se

se non l’ho passato, chiederò l’orale, chiederò il riconteggio dei voti, chiederò l’appello, la cassazione, ricorrerò alle tangenti, alle cosecanti, alle corse sugli specchi e alle minacce. A tutto tranne le lacrime, ovviamente.

Ma se

se…

se l’ho passato…

beh, credo che mi sentirò finalmente libero. E tappatevi le orecchie, perchè l’urlo della liberazione non sarà in alcun modo controllabile!

Più blogger che giornalisti

Anche se è passata in secondo piano, questa mi sembra una notizia molto importante.
Stando a quanto riferisce il comitato per la protezione dei gironalisti (Cpj) al momento vi sono, nel mondo, più giornalisti del web imprigionati rispetto ai colleghi della carta stampata.
Ecco le cifre più in dettaglio:

125 giornalisti detenuti in totale (così pochi?)
di cui
56 che lavorano per testate online o blogger
53 fotografi
16 giornalisti di carta stampata, per lo più ovviamente free-lance

Non solo quindi il numero dei giornalisti web e dei blogger è superiore, ma è di molto superiore.
E’ un dato allarmante, quindi, ma in un certo senso anche una vittoria: è la certificazione da parte del più autorevole dei pareri, cioè da parte degli stati che reprimono il dissenso, del fatto che ormai l’informazione online ha assunto la stessa importanza di quella stampata, e la stessa pericolosità.

Sembra una sciocchezza, ma credo che si tratti – nel suo piccolo – di una rivoluzione.

Fonte: Misna

Edit: potrebbe essere interessante anche dare un’occhiata ai dettagli del rapporto, tanto per scoprire dove non conviene passare le vacanze, se si è troppo curiosi 😉

Lettera al preside di facoltà (my two cents)

Gentile professor Giacobazzi,

immagino avrà la casella di posta intasata e ben poco tempo per leggere la posta che le arriverà in questi giorni. D’altra parte sento l’esigenza di scriverle, e in fondo non importa quando avrà tempo di leggere questa mail. Ad ogni modo, cercherò di essere telegrafico!

Desidero semplicemente ringraziarla, come studente e come cittadino, per il contributo che sta dando in questi giorni all’università di Verona e alla (ri?)nascita di una coscienza critica negli studenti. Il suo intervento stamani durante l’assemblea è stato assolutamente chiaro e puntuale, così come gli altri interventi di questi giorni sotto forma di comunicati ed e-mail alle varie mailing-list degli studenti.

Sono conscio del fatto che noi studenti, in questa diatriba, appariamo come dei fantasmi, privi di una precisa volontà e poveri di iniziative. La verità è che siamo tutti molto disorientati. La riforma in discussione è stata varata da un governo eletto dalla maggioranza degli italiani, compresa la maggioranza dei nostri genitori (soprattutto qui a Verona) e, perché no, dei nostri amici. Molti elettori, molti ministri e politici fanno parte di quella parte di italiani che da giovane ha "fatto il ’68". Questo non ce lo dimentichiamo, anzi ci confonde ancora di più le idee. E’ facile, per un sessantenne come il professore che è intervenuto stamattina, darci degli smidollati, ma non credo che la risposta giusta sarebbe scendere in piazza a rovesciare i cassonetti o gridare slogan da stadio. Non ha funzionato benissimo quarant’anni fa, e credo funzionerebbe ancora meno adesso, soprattutto in un ambiente come quello veronese (e veneto) dove si è abituati a ragionare per categorie e vedere tutto in bianco e nero.
Non è facile costruirsi un pensiero critico di questi tempi, non è facile avere le competenze per capire questioni come la crisi economica o la riforma universitaria e soprattutto non è facile trovare delle fonti di informazione di cui fidarsi. Telegiornali e giornali stanno perdendo credibilità ogni giorno, ed anche per questo ritengo che la presa di posizione netta da parte della maggioranza del personale docente della facoltà sia stato un segno molto evidente sul piano comunicativo.

Credo che l’assemblea di stamattina sia stata un grande momento di vita universitaria. Un momento di dialogo vero, anche se noi studenti abbiamo parlato poco. Abbiamo ascoltato molto, però, e voi professori sapete quanto sia importante. Siamo disposti ad ascoltarvi, a creare uno scambio di conoscenze. Da questo punto di vista siamo molto, molto più avanti del ’68. Mi auguro che nel consiglio di facoltà di mercoledì, qualsiasi decisione venga presa, si scelga di portare avanti in qualche forma questo dialogo che si è instaurato, e da noi studenti arrivino delle forme di protesta sensate ed efficaci tanto quanto quelle prese da voi professori.

La ringrazio ancora, e le auguro un buon lavoro