Amor profano

Vi invito a leggere il post di LeftTheLeft, pubblicato in occasione della manifestazione ‘se non ora, quando?’

E’ un post conciso e illuminante: una vignetta e una citazione. La citazione è di De Andrè, ed è da Bocca di rosa:

E fu così che da un giorno all’altro
bocca di rosa si tirò addosso
l’ira funesta delle cagnette
a cui aveva sottratto l’osso.
Ma le comari di un paesino
non brillano certo d’iniziativa
le contromisure fino al quel punto
si limitavano all’invettiva.

La canzone è ben nota, e non va certo spiegata. Bocca di rosa è un brano contro il perbenismo e la maldicenza, e mi aspettavo che qualcuno, legittimamente, l’avrebbe tirata fuori dal cilindro in questi giorni di ennesima critica contro Berlusconi.

Però mi ha stupito. Mi ha stupito perché quello citato non è un pezzo a caso. Si riferisce alle mogli che criticano Bocca di Rosa, le lanciano invettive perché si sono sentite portare via il proprio osso, ossia l’uomo, il marito, l’amante. C’è un altro pezzo della canzone, poco più su, che mi sarei aspettato di vedere citato:

Si sa che la gente da’ buoni consigli
sentendosi come Gesù nel tempio
si sa che la gente da’ buoni consigli
se non può dare cattivo esempio.

Qui si parla di ipocrisia, di persone che danno buoni consigli e cattivo esempio: fin troppo facile prendere qualche personaggio a caso della sinistra italiana e vederlo corrispondere a queste parole. Invece no, su LeftTheLeft hanno deciso di utilizzare un’altra citazione, quella che ho inserito per prima: una strofa sull’invidia.

Perché è questo quello che la destra italiana ha visto nella manifestazione di sabato: un gruppo di donne in piazza invidiose, invidiose perché Berlusconi non se le fila, invidiose di quelle fortunate che vanno a Villa Certosa a pippare e darla via. Perché loro – è scontato – sono fighe, e anche un po’ fortunate ad avere un uomo che per il solo costo di un possibile coito come minimo le foraggerà a dovere. E’ un post illuminante, quello di LeftTheLeft, perché mette in scena la tristezza della destra italiana, schiava di un sessismo inteso come focalizzazione della vita sul sesso, e sul sesso come fonte e specchio del successo personale.

Penso che queste persone non riescano proprio a capire che le donne che sono scese in piazza domenica 13 l’hanno fatto perché si sono sentite offese, dato che sono stati loro ad averle offese. Offese con pensieri come la vignetta in testa la post.

Mi si dirà che scherzare sulla donna e sui suoi difetti è legittimo, ed ovviamente lo è. Fare del sarcasmo su una manifestazione in piazza è legittimo, e infatti lo è. Dire che il femminismo ha rotto i coglioni è legittimo, e lo è. Ma fare battute sul fatto che le donne non debbano andare in piazza, ma ‘a casa mia stasera! Che si tromba!’, o dichiarare che chi è andato in piazza quel giorno l’ha fatto per invidia, è retrogrado e sessista. Più retrogrado dei conservatori, ormai inesistenti, che appoggiano Berlusconi in quanto difensore della tradizione, e retrogrado tanto quanto chi dice che la donna è buona quando sta in cucina a farsi i cazzi suoi.

Il problema di non avere di meglio da fare

“Mentre le barche, i vessilli, i costumi del Corteo storico sono congrui, c’e’ una concessione eccessiva alla modernita’ nell’abbigliamento dei vogatori del Corteo sportivo, soprattutto per le scarpe: quelli scalzi vanno meglio. Queste concessioni alla modernita’ sono piu’ correggibili a Venezia che altrove. Ho osservato che troppe rievocazioni storiche in Italia sono manchevoli nei dettagli nel nome della comodita’. Bisognera’ fare un disciplinare dei costumi”

Vittorio Sgarbi, direttore alla Soprintendenza ai beni artistici e storici di Venezia, Assessore alla Cultura del Comune di Milano, sindaco della cittadina di Salemi

Whitefang

ellisse

Ieri sera siamo andati al cinema a vedere Agora.

Il fatto che fossimo in 6 spettatori (di cui 4 entrati con la riduzione studenti) mi ha convinta che il motivo per cui la pellicola è arrivata così tardi in Italia sia stato lo scettismo dei distributori riguardo al suo successo di pubblico (nonché il suo costo: 73 milioni di dollari ) e non tanto le critiche del Vaticano, delle quali per altro non esiste alcuna traccia.

E questa storia della censura, del complotto, è perfettamente in linea con il tema del film: l’ellisse (credits: Lorenzo Sartori).

La protagonista del film è Ipazia, astronoma e filosofa di Alessandria d’Egitto realmente esistita nel IV sec d.C., la cui figura viene tratteggiata in modo piuttosto fedele rispetto alle fonti che possediamo.

Durante tutto il film laSignora” si interroga sui moti celesti e sul sistema solare, confutando la tesi di Tolomeo, allora la più accreditata; ciò che le fa mettere in dubbio la teoria geocentrica è il movimento delle “stelle erranti” che sembra non avere senso se si considerano le orbite come circolari. In un passaggio che non riesco a citare esattamente, dopo una considerazione del suo schiavo (curioso che il ruolo svolto ora dagli assistenti accademici venisse allora considerato un lavoro da schiavi), Ipazia nel pensare all’orbita della Terra come ellittica dice: “ma come può la perfezione del cerchio stare in una forma così imperfetta?”

Ecco, il film è tutta una descrizione di cose che sembrano perfettebuone, ma hanno un che di imperfettocattivo: i cristiani che danno da mangiare ai poveri, che non fanno distinzioni tra padroni e schiavi, che parlano di perdono e pietà sono gli stessi che compiono di continuo stragi, ora contro i pagani, ora contro gli ebrei. Gli accademici della bibliteca che conoscono il valore della ragione e coltivano le più alte scienze, scendono in piazza (pardon, nell’agora) per difendere gli dei nei quali anche loro cominciano a non credere più e non disdegnano di farlo con le armi. La stessa Ipazia, così intelligente e illuminata non mette in dubbio l’idea di schiavità.

Poi, certo, il film è un manifesto contro il fanatismo; chi è convinto che i cristiani siano tutti dei fanatici lo ha visto come un film anticristiano e ha ben pensato di creare un casus belli sulla sua non distribuzione in Italia per circa un anno. Ecco, persone intelligenti e sicuramente in buona fede si sono però comportate come le masse – elleniche, cristiane ed ebree – che animano il film: davanti ad un oratore particolarmente abile non hanno chiesto altre spiegazioni, non hanno cercato le fonti, ma hanno risposto pronti, alzando i pugni con un bel “sì, siamo con te. Alleluja”.

Yoany Sanchez sequestrata e malmenata a Cuba

Nei pressi di calle 23, proprio alla rotonda dell’avenida de los Presidente, abbiamo visto arrivare a bordo di un’auto nera – di fabbricazione cinese – tre robusti sconosciuti: “Yoani, sali in auto” mi ha detto il primo afferrandomi con forza per un polso. Gli altri due trattenevano Claudia Cadelo, Orlando Luís Pardo Lazo e un’amica che ci accompagnava a una marcia contro la violenza. Ironia della vita, quella che doveva essere una giornata di pace e concordia si è trasformata in una serata carica di botte, grida e male parole. Gli stessi “aggressori” hanno chiamato una pattuglia che si è portata via gli altri miei due compagni, Orlando e io eravamo condannati all’auto con targa gialla, lo spaventoso terreno dell’illegalità e dell’impunità per l’Armageddon (1). Mi sono rifiutata di salire sul brillante Jelly e abbiamo preteso che si identificassero e mostrassero un mandato giudiziario che li autorizzasse a portarci via. Non ci hanno fatto vedere nessuna carta che provasse la legittimità del nostro arresto. I curiosi si accalcavano intorno e io gridavo: “Aiuto, questi uomini ci vogliono sequestrare”, ma loro hanno fermato chi voleva intervenire con un grido che rivelava tutto il fondamento ideologico dell’operazione: “Non vi intromettete, questi sono dei controrivoluzionari”. Di fronte alla nostra resistenza verbale, hanno preso il telefono e hanno detto a qualcuno che doveva essere il loro capo: “Cosa facciamo? Non vogliono salire sull’auto”. Immagino che all’altro lato la risposta sia stata categorica, perché dopo ci hanno riempito di botte e spintoni, mi hanno caricato con la testa verso il basso e hanno tentato di infilarmi nell’auto. Ho afferrato la porta, ricevendo colpi sulle mani, sono riuscita a togliere un foglio che uno di loro portava in tasca e me lo sono messo in bocca. Mi sono presa un’altra scarica di botte perché restituissi il documento. Orlando era già dentro l’auto, immobilizzato da una mossa di karate che lo faceva stare con la testa verso il pavimento. Uno ha messo le sue ginocchia sul mio petto e l’altro, dal sedile anteriore mi colpiva nella zona dei reni e sulla testa per farmi aprire la bocca e liberare il documento. Per un istante, ho temuto che non sarei più uscita da quell’auto. “Sei arrivata fino a qui, Yoani”, “Adesso la finirai di fare pagliacciate”, ha detto quello che era seduto accanto all’autista e che mi tirava i capelli. Nel sedile posteriore si poteva assistere a uno spettacolo molto strano: le mie gambe verso l’alto, il mio volto arrossato per la pressione e il corpo indolenzito, all’altro lato c’era Orlando conciato male da un picchiatore professionista. In un gesto di disperazione sono riuscita ad afferrare, dai pantaloni, i testicoli di questo personaggio. Ho affondato le mie unghie, supponendo che lui avrebbe continuato a schiacciare il mio petto fino all’ultimo respiro. “Uccidimi adesso”, gli ho gridato, con il fiato che mi restava, ma quello che stava nei sedili anteriori ha detto al più giovane: “Lasciala respirare”. Sentivo Orlando ansimare e le botte continuavano a cadere su di noi, ho pensato per un attimo di aprire la porta e gettarmi fuori, ma all’interno non c’era una maniglia utilizzabile. Eravamo nelle loro mani ma ascoltare la voce di Orlando mi rincuorava. In seguito lui mi ha detto che gli accadeva lo stesso ascoltando le mie parole rotte dai singhiozzi… perché gli dicevano “Yoani è ancora viva”. Ci hanno lasciati in pessime condizioni, scaraventandoci in una strada della Timba, una donna si è avvicinata: “Che cosa vi è successo?”… “Un sequestro”, ho risposto. Ci siamo messi a piangere abbracciati in mezzo al marciapiede, pensavo a Teo, non sapevo come avrei potuto spiegargli quel che avevo passato. Come potrò dirgli che vive in un paese dove succedono queste cose, come potrò guardarlo e raccontargli che sua madre è stata malmenata in mezzo alla strada perché scrive un blog dove esprime le sue opinioni in kilobytes. Come potrò descrivergli il volto autoritario di chi ci ha fatto salire con la forza su quella macchina, il piacere che si leggeva sui loro volti mentre ci percuotevano, alzavano la mia gonna e mi trascinavano seminuda verso l’auto. Sono riuscita a vedere, nonostante tutto, il livello di agitazione dei nostri aggressori, la paura del nuovo, delle cose che non possono distruggere perché non le comprendono, il terrore del gradasso che sa di avere i giorni contati.

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

Crucify

Via il crocefisso dalle scuole. Si potra’ inchiodare Gesu’ direttamente al muro. (Maurizio Cecconi)

Riguardo all’annosa (e presto dimenticata) polemica dei crocefissi nelle aule scolastiche non riesco a non pensarla come Sofri: il crocefisso è il simbolo di una parte importante dell’identità italiana (nella quale personalmente mi riconosco) ma non ha motivo per stare lì, semplicemente. Forse una volta l’aveva, ora non più. Perché il luogo del culto è ovunque, come ogni cristiano potrà confermare.

Secondariamente sfido chiunque stia leggendo queste parole a ricordare se nelle proprie aule scolastiche, alle medie, alle superiori o magari all’università, ci fosse un crocifisso. Molti magari non sanno neanche se ce l’hanno in casa, appeso da qualche parte, o nel luogo di lavoro (ne dubito). Ovviamente non dico questo per dimostrare che la sua importanza lì, appeso, sia più alta o più bassa, ma per affermare che forse l’influenza di quel simulacro appeso sulla moralità delle generazioni italiane non è così grande come – in tutta fretta – molti sono corsi ad affermare. Se stanotte, magicamente, venissero rimossi tutti, domani non se ne accorgerebbe nessuno.

Per questo appoggio l’idea della moratoria sui crocefissi: togliamoli per un anno, e vediamo cosa succede.

70 italiani su 100 stanno con Berlusconi. Staranno stretti…

Home Page Il Giornale - 7 ottobre 2009

Mentre la corte costituzionale discuteva del Lodo Alfano (ora soprannominato "Godo Alfano" dopo che è stato giustamente cassato dalla Corte stessa) questa qui sopra era l’lHome Page del sito de Il Giornale. Le evidenziazioni sono mie, ovviamente.

Faziosi? Loro? Nooooo

Show

La seconda guerra mondiale fu sotto gli occhi di tutti, per forza di cose. Proprio per questo forse gli stati coinvolti capirono che non era più il caso di mettere in pericolo la propria popolazione – e di conseguenza il consenso elettorale – con guerre alla luce del sole. Meglio concentrarsi su conflitti laterali, in sordina.

La guerra del Vietnam fu sicuramente un fallimento, da questo punto di vista. Benché combattuta lontano dal suolo americano fu una guerra documentata, raccontata, spiegata in ogni dettaglio ai familiari, agli americani, agli elettori. Ecco perché invece in Afghanistan, e in Iraq, i giornalisti sono meno, sono embedded e quindi i racconti e le immagini che passano attraverso i vari passaggi ed arrivano al pubblico sono poche.

Talmente poche che una foto come questa, l’immagine di un marine morente come ne esistono tante della WWII, può arrivare a destare polemiche. Joshua Bernard, un ragazzo di ventun anni, nato quindi nel 1988, viene inviato a migliaia di kilometri da casa a combattere una guerra contro una fazione politica colpevole (secondo il ragazzo in questione) di fomentare il terrorismo internazionale. Questo ragazzo, durante un’azione di combattimento, viene colpito e muore. Quell’istante viene fermato da un fotografo e pubblicato, dopo le esequie del ragazzo. Non sarebbe forse scandaloso il contrario?

C’è chi dice che questa foto non avrebbe mai dovuto essere mostrata, per rispetto al caduto o ai familiari.
Io dico che questo è stato, non è un film o una pièce teatrale. I commilitoni di quel ragazzo non potevano esimersi dal vedere, e non è giusto che noi non vediamo. Mi stupisce anzi che nel 2009 se ne stia ancora a discutere. Questa guerra – queste guerre sono nascoste ai nostri occhi anche da un velo di falso rispetto, che spesso cela l’ipocrisia di chi non vuole affrontare le conseguenze delle proprie scelte o non scelte. Comunque la si pensi dei giovani stanno morendo, e quando un ragazzo muore col terrore negli occhi non vedo giustizia.

Altri mondi?

Andrea Scanzi per La Stampa:

Ci sono storie che gelano il sangue. Di solito, sono storie che non si raccontano mai fino in fondo. Per non ferire o per non disturbare il manovratore. Chi scrive ha il nervo (particolarmente) scoperto per le violenze di Stato. Per il sopruso della Legge. Per il manganello facile.
Chi scrive prova imbarazzo e disgusto, se pensa alla mattanza della scuola Diaz, alle torture di Bolzaneto (tutte impunite) e alla verità ufficiali che hanno reso più "accettabile" la morte di Carlo Giuliani.  Chi scrive prova terrore se pensa a quanto accaduto a Ferrara nella notte del 25 settembre 2005.

Le storie terribili vanno raccontate con leggerezza e precisione. In questo senso, le graphic novel aiutano. Ne escono di meravigliose, qualche giorno fa ho terminato Pyongyang di Guy Delisle: stupendo. E’ dunque oltremodo consigliabile Zona del silenzio, di Checchino Antonini e Alessio Spataro. La prefazione, impeccabile, è di Girolamo Di Michele. Il libro, che riecheggia per disegni il grande Maus di Art Spiegelman, è uscito un mese fa per Minimum Fax. Racconta l’omicidio di Federico Aldrovandi. E’ tutto vero, al di là dei nomi (ironicamente) mutati di alcuni giornalisti, politici e quotidiani. E’ un libro che racconta come per alcuni il "diverso" non sia che una zecca. Qualcosa da umiliare e ridicolizzare, nel nome della legge.
 "Zona del silenzio" era il cartello in Via dell’Ippodromo a Ferrara, davanti al quale il ragazzo è morto. Non si saprà mai quando tutto è cominciato. Probabilmente una signora di Ferrara ha chiamato il 113 perché disturbata dalle urla di un ragazzo nella notte. Quel ragazzo è Federico Aldrovandi, 18 anni. 

Sono, più o meno, le 5 del mattino. Federico ha passato la serata con gli amici e ha chiesto di essere sceso lì. Ha bevuto, l’esame autoptico rivelerà presenza di eroina e ketamina. E’ un aspetto decisivo: la polizia dirà che il ragazzo è morto di overdose, che urlava perché eccitato dal mix di alcol e stupefacenti. 
E’ vero che il ragazzo aveva assunto droghe. Non è vero che la quantità era tale da giustificare un overdose: la ketamina, ad esempio, era 175 volte inferiore alla dose letale. E non è neanche credibile la tesi della droga come eccitante, conisderando che l’eroina (un oppiaceo) ha casomai effetto sedativo.
La famiglia Aldrovandi ha sempre negato che Federico facesse uso regolare di droghe. Era solo un ragazzo di 18 anni che, quella sera, aveva esagerato un po’. Quello che è successo a lui, poteva succedere a tutti.
Federico muore poco dopo le 6 del mattino. Era disarmato e incensurato.

La famiglia viene avvertita cinque ore dopo. Su youtube, e sul blog di Beppe Grillo, è presente il video della Scientifica. C’è il corpo di Aldrovandi a terra, segni di colluttazione. Si sentono i poliziotti che ridono.
La comunicazione tra Centrale e poliziotti, tre uomini e una donna, riporta frasi di questo tenore: "L’abbiamo bastonato di brutto". Il Giudice di Ferrara, lo scorso 6 luglio, ha certificato come i quattro poliziotti hanno ucciso il ragazzo con sequela infinita di manganellate e calci. Sono stati condannati in primo grado a tre anni e sei mesi per eccesso colposo in omicidio colposo.
La vita di un ragazzo senza colpe vale 3 anni e sei mesi. Anzi, neanche quelli, perché c’è l’indulto. La Polizia non ha radiato i quattro poliziotti. Gli amici di Federico Aldrovandi la stanno chiedendo, chi fosse d’accordo può scrivere a MAURO.CORRADINI.ALDROVANDI@GMAIL.COM:  Testo: "Aderisco alla richiesta di sospensione dal servizio dei 4 agenti della P.S. responsabili della morte di Federico Aldrovandi".
In rete trovate di tutto. Anche nella graphic novel. Ma nulla sarebbe stato svelato senza l’eroismo della signora Patrizia, madre di Federico, che il 2 gennaio 2006 ha aperto un blog per far luce sulla morte del figlio.  Da lì tutto è nato. Altri blog, l’interesse dei giornali, la vicinanza di Grillo, i libri, le meritorie inchieste di Chi l’ha visto? su RaiTre. La società civile che si muove. E una città, Ferrara, che per metà si chiude a riccio.  E minacce alla famiglia, e la Polizia che fa quadrato.  E un senso crescente di democrazia sospesa.

E’ una storia che non ha spiegazione alcuna. Una storia sbagliata, cantava Fabrizio De André. £Un omicidio di Stato". Forse Aldrovandi urlava davvero di notte. Forse era eccitato, forse ubriaco. Non lo sapremo. Sappiamo invece, adesso, il dopo. Quattro poliziotti che spezzano i manganelli (letteralmente) a furia di picchiarlo. Calci e ginocchiate al punto da spezzargli lo scroto. Il volto tumefatto, i vestiti zuppi di sangue. Il corpo trascinato barbaramente sull’asfalto. Il ragazzo che grida aiuto, senza che nessuno si fermi o intervenga in suo soccorso. Una mattanza durata decine di minuti e poi insabbiata (o meglio: quasi insabbiata). I poliziotti si sono difesi sostenendo tesi lisergiche: Aldrovandi era così eccitato che si faceva male da solo. Il volto tumefatto? Dava le testate contro l’auto. Il testicolo squarciato? E’ saltato a cavalcioni sul tetto dello sportello aperto, manco fosse una tartaruga Ninja. La morte? Un infarto, troppa eccitazione da overdose. No: l’autopsia ha rivelato che decisiva è risultata la pressione di uno o più poliziotti sulla schiena, che ha creato ipossia (mancanza di ossigeno) al ragazzo, peraltro ammanettato. Secondo il cardiologo, il cuore di Federico avrebbe cessato di battere dopo l’ennesimo colpo ricevuto.
E’ una storia di testimoni che prima parlano e poi si nascondono, di omissioni, di prove scomparse. Dell’ex ministro Giovanardi che minimizza in tivù, di un ragazzo normale fatto passare per un tossico mezzo matto. Di una città che non si schiera. Di una madre, di una famiglia ferite a morte. Eppur vive.
E’ una storia che fa molto Italia.

La sentenza del Giudice Filippo Maria Caruso (Ferrara)
Le deposizioni dei 4 agenti (Gazzetta di Parma)
Il Caso Aldrovandi si Wikipedia
Il video della Scientifica dopo la morte di Aldrovandi
Il blog della madre di Federico

A cruel truth

Fra i tanti eventi sociologicamente importanti del terzo millennio che passeranno alla storia, sono sicuro che un posto sarà riservato di diritto al fenomeno delle boy-band. Prodotti commerciali progettati a tavolino allo scopo di vendere a folle di ragazzine sessualmente inferocite lo sfogo ai loro bollenti spiriti, garantendo oltretutto il vantaggio di non rinunciare allo status di anime pie e pure che tanto gli si conviene. Eh sì, perché il nostro evolutissimo modo di pensare non permetterebbe mai a una ragazza in piena pubertà di provare desideri sessuali come natura comanda, ma solo candide fantasie di amori romantici color azzurro principe, pena il severo giudizio di tutta la comunità.

Disumano, direte voi, forse stupido. Ma la nostra società funziona così, tanto che questo fenomeno ci appare oggi normale e conclamato. Per coloro che danno la colpa di tutto ciò al maschilismo, sarebbe il caso di prendere in considerazione che anche nel mondo maschile esiste un corrispettivo altrettanto disumano. No, non sto parlando delle “girl-band” come sarebbe ovvio pensare, bensì di alcune metal band. Sì, perché moltissimi ragazzi hanno l’esigenza – opposta rispetto alle ragazze – di mostrare virilità e mascolinità e nascondere vergognosamente la loro anima sdolcinata, romantica e pacchiana. Sarebbe sconveniente, infatti, per un ragazzo di 20 anni, mostrare passione per sentimenti degni dei peggiori melodrammi gigidalessiani, o essere beccato da qualche amico mentre esce dal supermercato con in mano uno di quei romanzi Harmony che campeggiano davanti alle casse a prezzi stracciati. Come ci rimarrebbero gli altri, poi, se sapessero delle rime dedicate alla inarrivabile compagna di liceo scritte su diari segreti nascosti nel doppiofondo del proprio cassetto personale accanto alle videocassette con tutti gli episodi di Fantaghirò?

Ecco quindi che l’unica scappatoia per questi poveri ometti sensibili e indifesi, che sentono su di loro la pressione della società omologatrice che li forza dentro schemi che non gli appartengono, si concretizza come una sola: comprare la discografia dei Dream Theater. Così potranno struggersi in lacrime di passione sull’assolo “lento” di "A Change Of Season", o toccare il sentimento assoluto su "Through Her Eyes", mantenendo però di fronte a tutti l’austero aspetto dell’uomo serio che ammira i dettagli “tecnici” della “vera musica”. Potranno dire con la faccia da veri duri “Oh, hai sentito la rullata in 17/16 al quinto minuto virgola quattordici di Erotomania? Ieri ho provato a rifarla e mi sono slogato un polso! Che mostro Portnoy!” e intanto pensare “Povero Julian, che fine grama che ha fatto per colpa di quel bastardo di suo fratello, in fondo fra lui e Victoria era vero amore! Ma tanto Victoria vive ancora, l’amore vince sempre, love is davvero the dance of eternity!!” (…)

Il resto di questo splendido trattato di psicologia giovanile di Stoney, abilmente mascherato da recensione musicale, si trova su DeBaser. Ve lo consiglio!