Nessuno fece nulla

Era un anno fertile per il grano, come mai in passato: era tutto in abbondanza.
Era un anno fertile per il grano, come mai in passato: era tutto in abbondanza.
Quelli che erano malati cronici e desideravano la morte, consegnarono finalmente con un sorriso l’anima a dio… l’anima a dio… l’anima a dio.

Nei giorni dei grandi temporali il cielo era rosso,
la pioggia portava con sé la polvere dei deserti d’oltremare.
I vecchi dissero: ci sarà la guerra…
i vecchi dissero: ci sarà la guerra.
Nessuno prestò credito alle loro parole e nessuno fece nulla…
NESSUNO FECE NULLA!

Cosa si poteva fare contro la profezia?
Solo cantammo per intere giornate…
cantammo per intere giornate fino a restare senza voce,
per potere consumare tutte le vecchie canzoni,
perché non ne restasse nessuna che venisse sporcata dal tempo…
perché non ne restasse nessuna.

… quando intravedono il primo cadavere per strada le persone voltano la testa,
vomitano e perdono i sensi…
vomitano e perdono i sensi.
Senti il tremore per primo nelle ginocchia,
poi ti manca l’aria e ti gira la testa.
Sono d’aiuto in questi casi l’acqua fredda e leggeri schiaffi.
Se lo svenuto non rinviene sdraiatelo sulla schiena e sollevategli le gambe in aria.
Se il cadavere di quel giorno era un suo parente o comunque un suo vicino, non permettetegli di avvicinarsi e di guardarlo:
le ferite causate dalle granate sono in genere causa di un nuovo svenimento…
le ferite causate dalle granate sono in genere causa di un nuovo svenimento
e non si ha tanto tempo a disposizione, MAI.
Non si ha tanto tempo a disposizione, MAI.

È raccomandabile piangere…
È raccomandabile piangere…
È raccomandabile piangere… fa bene al cuore.
Ma neppure per questo c’è molto tempo.
Non c’è mai molto tempo a disposizione.

Se la città è in stato d’assedio, occorre mandare i più coraggiosi a tentare di portare i sacchi di plastica opachi per i cadaveri.
Se questi non tornano, bisogna avvolgere i morti in lenzuoli bianchi.
Mi raccomando: coprire i morti, o nei sacchi appositi o in lenzuoli bianchi,
non si può seppellirli senza.
Non è raccomandabile seppellirli senza,
fa diffondere il panico…
fa diffondere il panico: la paura della morte diventa facilmente la paura di finire sepolti allo stesso modo,
senza uno straccio bianco, senza un pezzo di plastica nera intorno.

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Ei fu

Per anni abbiamo pensato che questo giorno sarebbe stato, nel suo piccolo, un punto di svolta della storia del paese. Sbalorditi e travolti dalla capacità di Berlusconi di sopravvivere a ogni sconfitta, non poteva esserci altro modo per abbassare il sipario: davanti alla sua immortalità politica, non rimaneva che attendere la sua morte fisica. Per vent’anni, un pezzo consistente dell’Italia ha aspettato la morte di Berlusconi con la pazienza con cui si attende la fine di un interminabile digiuno: l’ineluttabile alba al termine di una lunga, lunghissima nottata. Poi le cose sono cambiate. A un certo punto, dieci anni fa, abbiamo capito che la morte di Berlusconi non avrebbe cambiato granché, in uno scenario politico che aveva finalmente imparato a fare a meno della sua figura. Ci rimane un addio in qualche modo atteso, come tutti quelli dei personaggi celebri che raggiungono una certa età, e la sensazione che dovrà passare ancora del tempo prima di avere una percezione completa e oggettiva di come e quanto in profondità Silvio Berlusconi ha cambiato questo paese.

In questi giorni, alcuni commentatori hanno parlato della «seconda morte di Berlusconi», sostenendo che la prima e probabilmente più dolorosa morte del cavaliere di Arcore sia avvenuta dieci anni fa, in quel 14 giugno del 2010 che ha cambiato la rotta della politica italiana. La prospettiva della storia mostra ravvicinati e schiacciati, come in una foto, avvenimenti che tennero in sospeso le sorti del paese per otto lunghi mesi: la sconfitta di Belrusconi alle elezioni regionali e la definitiva rottura con Gianfranco Fini, la dissoluzione del Partito Democratico dopo la vittoria di Pierluigi Bersani, gli scandali sessuali sui massimi dirigenti dell’Udc che distrussero il partito di Casini, la nascita della cosiddetta «coalizione tricolore» composta dai finiani del Pdl, l’Italia dei Valori e l’ala destra fuoriuscita dal Pd. Si definirono un “comitato di liberazione nazionale” e in effetti da qualcosa liberarono l’Italia: dalla sinistra. Da una parte rimase la Lega Nord, reduce dal più grande risultato della sua storia all’indomani della morte di Umberto Bossi; dall’altra la coalizione tricolore, un centrodestra securitario e liberale – “europeo”, dicevano – con un leader intenzionato a guidare la transizione verso il dopo Berlusconi. A sinistra solo macerie. Il segretario del Pd Pierluigi Bersani aveva puntato tutto sull’alleanza strategica con l’Udc, un progetto che fu disintegrato dagli scandali distrussero il già esiguo consenso del partito di Casini. Quando quel che rimaneva del centro politico decise di andare con Fini, una bella fetta del Pd li seguì nell’arco di pochi giorni. Quei pochi che rimasero litigarono per settimane sull’opportunità di unirsi alla coalizione tricolore, come in un nuovo Cln, o presidiare la sinistra. Il verdetto delle politiche fu impietoso. La Lega Nord ottenne uno straordinario ma inutile 24 per cento, il Partito Democratico si fermò esanime al 19 per cento. La coalizione tricolore ottenne un incredibile 52 per cento, mostrando come la figura polarizzante di Berlusconi, specie negli ultimi anni della sua avventura politica, avesse finito per ridurre e non per aumentare le potenzialità della destra italiana.

Ora che Silvio Berlusconi è morto, possiamo affermare con qualche certezza che la sua eredità più profonda e duratura non sia stata tanto l’aver trasformato la destra italiana, quanto aver cambiato la sinistra. Anno dopo anno, governo dopo governo, una buona metà dell’elettorato italiano è diventata sempre meno interessata alle vicende del paese e dei suoi concittadini, e sempre più appassionata alle vicende personali dell’allora premier. Sempre più arrabbiata e desiderosa di vendetta, sempre meno tollerante e partecipante alla vita politica del paese. Sempre più egoista e individualista, sempre meno altruista e lungimirante. Talmente arroccata nella difesa di alcune bandiere apolitiche – la questione morale, la laicità dello stato, il conflitto di interessi – da dimenticarsi completamente di quello che una volta determinava la differenza tra destra e sinistra: il rispetto delle minoranze e degli altri, l’erogazione dei servizi pubblici e la loro qualità, le politiche del fisco, del lavoro e dei redditi, le infrastrutture, l’istruzione. Pensavano che tolto finalmente di mezzo Berlusconi, il governo sarebbe scivolato placidamente tra le loro mani. Solo che l’uovo cadde dall’altra parte, e a raccoglierlo c’era una destra deberlusconizzata, capace di convincere la grande maggioranza degli italiani a votare per lei e aprire un nuovo solido ciclo di governo.

Alcuni sostengono che tutto sia cominciato con l’esplosione del populismo di sinistra, nel 2007. Altri fanno coincidere il primo segnale di questo smottamento con gli applausi fragorosi che la platea del Pd destinò a Gianfranco Fini nel 2009, mentre il presidente – oggi dello Stato italiano, allora della Camera dei deputati – arringava degli elettori che nessuno pensava avrebbero mai potuto votare per lui. A pensarci adesso, invece, non poteva esserci segnale più evidente. Gli elettori del Pd pensavano di aver cambiato Fini e averlo portato dalla loro parte; era successo esattamente il contrario. Dietro la più grande trasformazione dell’elettorato italiano c’era sempre lui, Silvio Berlusconi. La sua era si è conclusa definitivamente, ben prima della sua morte. La sua eredità segnerà ancora a lungo la storia di questo paese.

Il coccodrillo del secolo. Firmato da quel geniaccio di Francesco Costa.

Fra dieci anni lo rileggeremo, e ne rideremo… O no?

Spigolature

Forse non tutti sanno che il più grande Mall del mondo non si trova negli States, o a Dubbbai, ma in Cina.
Le cose curiose a questo punto sono due: la prima, che un imprenditore cinese (!) si sia messo in testa di costruire un mall nel suo paese, con tanto di Kentucky Fried Chicken e Ottovolante al coperto, e l’altra che l’abbia costruito bellamente fuori da ogni grande via di comunicazione.

Il risultato? Semplice, il più grande Mall del Mondo è vuoto.

Sogni

da Generacion Y

"Me ne vado con il nipote più piccolo a passeggiare per le strade di un’Avana diversa e al tempo stesso familiare. Non gestisco più un blog e i miei settant’anni si vedono in ogni ruga del volto e nella lunga treccia bianca. Tutto questo potrebbe essere soltanto una fantasia futurista dai toni oscuri, ma preferisco credere che camminiamo in una città rinata e prospera. Ce ne andiamo in un parco a prendere il sole e cerco – come ogni anziano – di parlarle dei miei tempi, di quegli anni nei quali avevo la magrezza e l’energia che lui mostra adesso. 

Lo spagnolo è ancora la lingua madre dei miei figli, ma il ragazzo mi guarda come se non comprendesse ciò che dico. Si mostra perplesso quando parlo di “periodo speciale”, “tessera di razionamento” e “fedeltà ideologica”. I suoi problemi sono così differenti che non può capire le cose del mio passato. Mostra senza pudore di non conoscere bene la storia e chiama un leader scomparso con il nome di un cantante di salsa. Non riesce a comprendere la differenza tra il carattere socialista della Rivoluzione e la fine dell’Unione Sovietica.

Non mi zittisce per rispetto, ma nei suoi occhi leggo che tutte le mie chiacchiere lo annoiano. “La nonna è rimasta indietro nel tempo” dirà quando me ne sarò andata, ma davanti a me finge di ascoltare gli sfasati aneddoti di una Cuba remota. Questo ragazzo non sa che soltanto il presagio della sua venuta al mondo, quarant’anni prima, mi ha permesso di mantenere il buon senso. Immaginarlo, seduto in un parco dell’Avana futura, con la sua smorfia di incredulità, mi ha impedito di prendere il cammino del mare, della simulazione o del silenzio. Sono arrivata sin qui grazie a lui e invece di dirglielo, lo infastidisco con i miei aneddoti su ciò che è accaduto, su ciò che mai tornerà a ripetersi."

Gazing at the sky

La telefonata è arrivata attorno alle 16.20 di sabato. Una bomba era stata sganciata sulla casa nella nostra piccola fattoria ubicata nella parte settentrionale di Gaza. Mio padre in quel momento preciso stava recandosi a piedi dal cancello alla porta di ingresso. Quello era il nostro luogo più amato: era una piccola casa di campagna, bianca, a due piani, con un tetto rosso, annidata in una piatta distesa agricola a nord-ovest di Beit Lahiya. C’erano alberi di limoni, di arance e di albicocche e da poco avevamo comperato una sessantina di mucche. La nostra era la fattoria più vicina al confine settentrionale con Israele.

Poco prima del tramonto, sabato scorso, mentre le truppe di terra israeliane e i tank invadevano Gaza, la pace di quel luogo è andata in pezzi e la vita di mio padre si è spenta a 48 anni. Caccia ed elicotteri vi hanno fatto incursione, bombardando per spianare la strada ai tank e alle truppe di terra che sarebbero seguite una volta calate le tenebre.

È stata una bomba scagliata da un F16 a togliere la vita a mio padre. La casa è stata ridotta a poco più di un ammasso di polvere e di mio padre non è rimasto granché da recuperare. Mia madre, mia sorella, mia moglie – incinta di nove mesi – e io abbiamo trascorso l’ultima settimana dell’attacco israeliano rinchiusi nel nostro appartamento di città. Mio padre, invece, aveva deciso di restare alla fattoria.

L’ultima volta che l’ho visto è stata giovedì, quando ci ha portato dei soldi e un sacco di farina: abbiamo parlato dell’imminente nascita del mio primo figlio e di come avremmo potuto portare mia moglie Alaa all’ospedale, in mezzo alle bombe. Naturalmente, sabato sera non c’è stata possibilità alcuna di mandare un’ambulanza alla fattoria. Così mio zio e mio fratello hanno percorso in automobile otto chilometri mentre noi siamo rimasti seduti immobili, in stato di shock, nell’appartamento buio.

Quando mio zio e mio fratello sono arrivati a destinazione hanno trovato un ammasso di macerie fumanti. Quasi tutte le mucche erano morte. Mahmoud, un adolescente nostro parente, si trovava con mio padre quando la bomba israeliana ha abbattuto la nostra casa. La potenza dell’esplosione lo ha scagliato a trecento metri di distanza. Ieri mattina abbiamo seppellito lui e mio padre con una cerimonia funebre molto veloce.

Mio padre, Akrem al-Ghoul non era un militante. Detestava quello che Hamas stava facendo al sistema legale di Gaza, introducendo la giustizia islamista, ed era assolutamente contrario alla violenza. Si sarebbe adoperato in ogni modo possibile per raggiungere una giusta intesa con Israele e per assicurare un futuro migliore ai palestinesi. Il mio dolore non è appesantito da un desiderio di vendetta, che so essere sempre e in ogni caso vana.

Ma in verità, essendo io un figlio in lutto che piange il proprio padre, mi risulta difficile distinguere tra quelli che gli israeliani chiamano terroristi e i piloti israeliani e gli equipaggi dei carri armati che hanno invaso Gaza. Che differenza c’è tra il pilota dell’aereo che ha disintegrato mio padre e il militante che spara un piccolo razzo? Non so rispondere a questa domanda, ma nel momento in cui sto per diventarlo io stesso, ho perduto mio padre.

(FARES AKRAM – Copyright The Independent-la Repubblica. Traduzione di Anna Bissanti)

La più grande vergogna italiana del XX secolo

C‘è un gran parlare, in questi giorni, attorno al nuovo film di Spike Lee, "Miracolo a Sant’Anna".
Si parla di revisionismo, di resistenza, di nazismo, e se ne parla con il solito tono di polemica italiana, tanto per far capire, come ha detto giustamente Spike Lee stesso, che "le ferite della guerra civile in Italia sono ancora aperte". Se ne parla in lungo e in largo, ma forse a molti è sfuggito il nocciolo della questione.

Girotondo%20bambini%20piazza%20chiesa%20rid%20400%20a%20tagliato.jpgNel 1944, in Italia, una divisione tedesca composta per lo più da soldati poco più che maggiorenni (nel migliore dei casi) e ufficiali provenienti direttamente dai Lager si macchio di numerosi, orribili eccidi nella zona centrale della penisola. Alcune di queste stragi, come quella di Marzabotto, sono state giustamente ricordate negli anni. Altre, come quella di Sant’Anna di Stazzema, sono state invece dimenticate.
Non entrerò nei dettagli di come si svolse questa orribile vicenda, per quello ci sono le apposite voci della Wikipedia, o i siti dedicati all’argomento. Basti sapere che i tedeschi occuparono il paese trovandovi solo donne, vecchi e bambini, dato che gli uomini erano fuggiti per paura della deportazione. Anziché risparmiare i civili, però, diedero inizio ad un deliberato ed organizzato eccidio di massa, fucilando nel giro di tre ore più di 500 persone. Furono uccise famiglie intere sotto gli occhi dei bambini, e i bambini sotto gli occhi degli amici. I superstiti, per la maggior parte bambini che erano riusciti a nascondersi, spesso ancora oggi non riescono a trattenere le lacrime raccontando l’episodio. I cadaveri vennero ammassati e bruciati, insieme alla maggior parte degli edifici del paese.
Pochi mesi dopo la strage ci fu l’occupazione americana, e venne aperto un fascicolo sul caso, anzi due. Tali fascicoli, corredati di testimonianze, nomi e cognomi dei responsabili e prove a carico delle vittime, vennero compilati con solerzia da un gruppo di funzionari italiani. Poi, però, misteriosamente scomparvero, insieme a molti altri, verso la fine degli anni ’40.

Il processo per la strage di Sant’Anna, così come quelli per moltissimi altri crimini di guerra del periodo, non ebbe nemmeno inizio, e tutto finì nell’oblio del dopoguerra, sotto una coltre di voglia di dimenticare.

Strage di Sant'AnnaIl silenzio venne rotto solo nel 1994, quando accadde una serie di vicende degna dei migliori film di spionaggio. Un giornalista riuscì ad intervistare, in Argentina, il gerarca nazista Erik Priebke, portandolo a confessare (senza nemmeno sforzarsi molto) la propria responsabilità per la strage delle Fosse Ardeatine. Fu proprio cercando alcuni incartamenti necessari per l’estradizione di Priebke che il procuratore militare Antonino Intelisano rinvenne, nei sotterranei della procura militare di Roma, un armadio rinchiuso  sotto chiave in uno sgabuzzino sprangato, appoggiato con le ante rivolte verso il muro. Questo armadio, noto ora come "l’armadio della vergogna", una volta aperto si rivelò ricolmo di tutti i fascicoli sugli eccidi degli anni ’40. Si parla di oltre 700 fascicoli, per più di duemila crimini. In più di 400 di essi era già riportato nome e cognome dei responsabili.

Intervistato sull’accaduto, il giornalista che ha seguito l’intera vicenda per l’espresso ha descritto questo insabbiamento come "la più grande vergogna italiana del XX secolo". Tristemente mi trovo d’accordo con lui.

Come mai una simile mole di documenti è stata nascosta nel ventre della procura militare per 50 anni? La risposta, a quanto pare, si trova nelle decisioni politiche che stavano alla base dei rapporti fra le potenze nei primi anni ’50. Dopo la fine della guerra divenne presto chiaro che la Germania dell’Ovest si sarebbe tramutata in fretta, da nemico, a prezioso alleato. Viceversa l’alleato sovietico divenne il nemico numero uno del blocco occidentale. Quale decisione più pericolosa allora, per uno stato della NATO (l’Italia) di chiedere l’estradizione di decine e decine di inquisiti residenti proprio nel paese chiave del blocco (la Germania dell’Ovest)? Non solo: a quanto pare nemmeno i generali italiani di stanza all’estero si sarebbero rivelati dei maestri di virtù durante gli anni della guerra (chi l’avrebbe mai detto?) e quindi il silenzio sulle stragi naziste si tramutò anche in un prezzo da pagare per avere l’omertà su fatti atroci avvenuti per esempio in Croazia, in Albania e in Somalia.

Una volta emerso di nuovo il fascicolo sulla strage di Sant’Anna, però, non venne istituito alcun processo. Bisognava attendere il 2004 prima che una giornalista tedesca intervistasse, in esclusiva, un’ex soldato nazista che aveva partecipato alla strage. Venutolo a sapere il sindaco di Sant’Anna di Stazzema riuscì finalmente a far istruire un processo, nel quale vennero condannati però soltanto gli ufficiali della divisione di stanza nella zona. Ovviamente, essendo gli imputati ultraottantenni, nessuno di loro fece mai un giorno di prigione. Ma direi che, a questo punto, sarebbe stato indifferente. Soprattutto per tutti i superstiti, i parenti, gli amici morti nel frattempo, tra il 1944 e il 2007, morti senza sapere se un giorno sarebbe mai stata fatta giustizia.

P.S. La foto in alto ritrae alcuni dei bambini del paese, e venne scattata alcuni giorni prima della strage.

Information by bike

Locandina Internazionale - Foto di Marco ZanettiAnche quest’anno io, Sisila e, per l’occasione, il buon vecchio zio Sanca, siamo riusciti a farci una bella scorpacciata di informazione!
Certo, non tutti gli incontri sono stati all’altezza, ma la media come sempre era molto alta. E poi c’era il popolo di Internazionale, tutti quei giovani che stanno in fila composti per un’ora e mezza attendendo che aprano e porte del cinema. Giovani che se ti sentono chiederti dov’è un determinato incontro si introducono nel discorso e te lo spiegano. Giovani che trovano un portafogli per terra, in teatro, e lo portano all’ingresso.

Ecco gli incontri ai quali abbiamo presenziato, con una breve recensione che non interesserà a nessuno, ma che forse servirà a me l’anno prossimo per non finire, com’è capitato ieri, a dire "ehi, ma l’anno scorso chi siamo andati a sentire?":

Rubrica. Seksopoli
Milana Runjic scrittrice croata

Che dire… avevo un po’ paura di conoscere Milana, e da un lato davvero sarebbe stato meglio così. L’incontro è stato alla fine una specie di discussione da parrucchiera con le donne presenti in sala (nonché con la traduttrice e Claudio Rossi-Marcelli), ma questo era ampiamente nei patti e quindi sono riuscito a godermelo!

Stati Uniti. L’altra voce dell’America
Lucia Annunziata intervista l’intellettuale statunitense Noam Chomsky
In videoconferenza dall’Mit di Boston
In inglese con traduzione simultanea

La portante Telecom e la finestra di 40 minuti del satellite non ci hanno permesso un incontro liscio come se lo zio Noam fosse stato lì con noi, ma – sarà perché eravamo in terza fila, oppure per l’incredibile professionalità dell’Annunziata –  è stata davvero un’ora indimenticabile, piena di lezioni sul come interpretare gli Stati Uniti di oggi.

Ambiente. Black out: il mondo senza petrolio
Intervengono
Serge Enderlin giornalista svizzero, autore di Pianeta petrolio. Sulle rotte dell’oro nero
Stephan Faris giornalista statunitense, autore di Forecast: the consequences of climate change
Introduce e modera il giornalista Romeo Bassoli
In inglese con traduzione simultanea

Questo incontro personalmente me l’aspettavo più interessante. Credevo si sarebbe trattato di più degli aspetti pratici, della vita di tutti i giorni, a cui porterà il caro petrolio, mentre gli scrittori ospiti si sono limitati per lo più ad una presentazione generale del problema, senza peraltro affontarne tutti gli aspetti. Alla fine però, complici le domande del pubblico, ne è uscito un quadro piuttosto completo. Interessantissima la digressione sulle origini energetiche (ed ecologiche) della guerra in Darfur (o Carrefour? :-P), un esempio dei tanti per capire quali siano le leve che muovono oggi il mondo.

Terrorismo. La politica della paura
Intervengono
Jason Burke chief reporter dell’Observer di Londra, autore di Al Qaeda. La vera storia
Loretta Napoleoni economista italiana, autrice di I numeri del terrore
Modera il giornalista Maurizio Torrealta
In inglese con traduzione simultanea

Forse per quanto mi riguarda l’incontro migliore dei tre giorni. Loretta Napoleoni si è confermata come una grande giornalista e divulgatrice, e ha saputo dialogare con il pubblico con lo stesso tono sia durante l’incontro che nello scambio di battute privato sotto al palco, mentre le facevo autografare il libro. Ottima l’idea di invitare un esperto di Afghanistan e Pakistan come Burke!

Musica
Orchestra di Piazza Vittorio
Concerto a ingresso libero offerto da Enel

Meglio di quanto mi sarei mai aspettato!

Diplomazia. La nuova guerra fredda
Sergio Romano a colloquio con
Alexey Malashenko ricercatore del Carnegie Institute di Mosca e docente dell’Università statale di Mosca per le relazioni internazionali
David Rieff giornalista statunitense
In inglese con traduzione simultanea

David Rieff se l’era cavata meglio l’anno scorso, con un tema (la politica estera USA a tuttotondo, e specialmente in Africa) forse a lui più noto. Ad ogni modo basterebbero la descrizione di Malashenko della questione Georgiana e la magistrale lezione di Storia di Sergio Romano a farlo entrare nella top-three del week-end.

Attualità. Cronache dal pianeta rom
Gad Lerner a colloquio con
Delia Grigore scrittrice e docente universitaria rom rumena
Alija Krasnici scrittore rom serbo
Alexian Santino Spinelli musicista e docente universitario rom italiano
In inglese e in serbo con traduzione consecutiva

Deludente. Peccato perché Gad Lerner si è confermato un incredibile presentatore e moderatore. Il brutto è che tutti gli spunti più interessanti sono stati suoi, mentre Delia Kilgore giustamente si limitava al discorso rumeno (con citazione della Transnistria), Krasnici si immergeva nei suoi deliri personalistici e Spinelli si esibiva in dotte dissertazioni per spiegare agli italiani non-rom quanto è bello essere parte della "popolazione romanì", finendo per dare una visione della sua gente talmente perfetta e idilliaca da stridere con la realtà, e farlo perdere di credibilità.

Chiusura. Dietro le quinte di Internazionale
Incontro con la redazione

Come mi aspettavo sono un manipolo di giovani pagliacci incredibilmente esigenti. Lavorare con De Mauro dev’essere un inferno, ma nessuno mi toglie dalla testa che il loro mestiere, chi più chi meno, debba essere bellissimo.

La parte più bella però inizia ora, tornato a casa. E’ bello sentire nelle notizie alla radio gli echi delle riflessioni degli incontri di questi giorni, ed è bello riscoprire quell’entusiasmo dell’informarsi, del conoscere, del sapere. E’ stato un po’ come un camposcuola questo festival, ha ricato le batterie del curioso del Mondo che è in me.
Grazie!