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Non sono mai stato un appassionato di calcio. E men che meno un fervente amante della patria.
Ancora oggi mi viene un morso allo stomaco al pensiero di cantare l’inno nazionale: penso a quanto il
nazionalismo possa portare alla cecità, penso a quante persone devono essere morte cantando quell’inno e perché, e allora non riesco proprio a intonarlo.

Il calcio poi non l’ho mai amato per l’alone fighetto che si porta dietro. Come tutti fra i sette e gli otto anni anch’io militai nella squadra del paese, ma non ero abbastanza bravo e quindi automaticamente escluso. Non so se più perché non segnavo o perché non bestemmiavo.

Sandiwch italo-tedescoInvece, inaspettatamente, ieri sera mi sono trovato davanti al televisore come ipnotizzato. Ho vissuto la semifinale come un film, immedesimandomi tantissimo nei giocatori, di entrambe le squadre. Osservavo i loro volti per cercare di capire cosa stessero pensando, come si potesse vivere un evento così importante.
Sentivo i fischi ogni volta che un azzurro toccava la palla e mi sentivo lì con lui, piccolissimo in un enorme campo sotto i fischi della maggior parte degli spettatori, a cercare con la coda dell’occhio i compagni per cercare di creare qualcosa di nuovo, bello ed inaspettato.

E’ stato un "film" diretto benissimo, fra l’altro, perché non c’è stato un attimo di tregua, il ritmo si è sempre mantenuto elevato dall’inizio alla fine.

Soprattutto però è stato un evento sportivo di prima grandezza, un duello fra due squadre praticamente alla pari. Mi sarebbe dispiaciuto tantissimo se l’Italia avesse perso, perché a conti fatti ha avuto molte più occasioni ed idee brillanti, ma la soddisfazione di aver assistito ad un momento di grande sport sarebbe rimasta. Ed era da tanto tempo che non provavo questa sensazione.

La cosa più bella in assoluto però è stata un’altra: la sensazione, quasi nuova per me, cinico critico e pessimista, di essere davvero orgoglioso del mio essere italiano. E’ bello avere qualcosa di cui andare fieri, tutti insieme.
Lo so, lo so, ce ne sarebbero di cose di cui andar fieri. Dai Quintorigo a Dario Fo passando per Carlo Rubbia e la nostra costituzione, sono tutti motivi per cui sono fiero di essere italiano. Ma quando mai capita l’occasione di stare in piazza, tutti insieme, a festeggiare per la stessa cosa?
Ieri sera in piazza c’era un’atmosfera di festa vera, potevo vedere gli entusiasmi da troppo sopiti risvegliarsi. Ed ho visto abbracciarsi persone che hanno votato in maniera opposta, sistematicamente, per vent’anni. Ma ieri sera si abbracciavano. Ho visto tuffarsi nelle fontane fighetti e punkettoni, nella stessa acqua melmosa (come? metafora? Metafora di cosa?  ).

E’ proprio così che lo sport dev’essere. Certe volte vorrei davvero che potessero vincere tutti, come nello spot della Lavazza.

E poi, insomma, è ora che anche noi, generazione perduta degli anni ’80, viviamo la nostra finale della coppa del mondo, no?

(alla fine l’inno nazionale non l’ho cantato. Non ce l’ho fatta. Però l’ho ascoltato in silenzio. E’ già qualcosa.)

soddisfazioni

La cosa che mi è piaciuta di più delle immagini della partita che ho visto ieri sera, tra un ripasso e uno schema è stata l’espressione soddisfatta ed incredula di Grosso, dopo aver fatto il gol che più nessuno sperava. Era così umano, al di là dei miliardi che lo dividono dalla maggior parte della gente comune, la sua gioia, la soddisfazione per aver fatto un piccolo miracolo era uguale a quella di tutti noi, quando soddisfiamo o addirittura superiamo le aspettative degli altri. Che bello!

E che bello vedere sventolare tutti quei tricolori nelle piazze italiane!