Tear down the worm!

Ieri mattina in un vaso sul balcone mia moglie ha scoperto una piccola colonia di grosse larve di Cetoniini, più noti come Scarabei. Superato il primo momento di disgusto mi sono chiesto se non fossi finito per caso all’interno della trama di The Worm, l’opera rock degli HMLTD uscita poche settimane fa.

The Worm infatti è un album che racconta una storia e parte da un evento preciso: l’emersione sulla terra di una genìa di giganteschi vermi, risvegliati dalle operazioni di Fracking compiute in una Inghilterra del prossimo futuro. In seguito alla venuta dei Vermi e al Grande Ingoio l’umanità piomba in un nuovo medioevo, dalle cui canzoni e folklori nasce la figura di Henry Spychalski, l’uomo che sconfiggerà il Verme (nonché cantante e leader degli HMLTD).

Questa è più o meno la sinossi della prima parte dell’album. Nella seconda la trama si fa più intricata perché scopriamo che forse l’invasione dei vermi non è mai esistita e tutto si è svolto nella testa e nelle psicosi di Spychalski stesso, che come un nuovo Pink dovrà riemergere dalle proprie ansie per sconfiggere (o perdonare) il Verme.

Una trama piuttosto involuta quindi, volutamente difficile da scorrere in modo lineare e piena di rimandi, sia al folklore britannico che alla contemporaneità. Non è difficile ad esempio scorgere nel Verme lo spettro della Crisi Climatica, della violenza della natura risvegliata dalle attività umane, o nel capitalismo che alimenta le disuguaglianze sociali. Nella seconda parte dell’album però Spychalski suggerisce esplicitamente come il Verme si nasconda anche nelle ansie, nella depressione e nel disagio delle singole persone. È un’apertura che rappresenta un punto di forza dell’album, dato che permette all’ascoltatore di riflettersi direttamente nei temi e nella storia, ma è anche un limite perché impedisce una lettura lineare dell’opera.

È proprio questa pluralità di significati a rendere The Worm un’opera contemporanea che parla a noi abitanti del ventunesimo secolo, angosciati tanto da ciò che sta dentro di noi quanto da ciò che sta fuori, e non sappiamo bene dove finisca il confine di una paura e cominci quello della successiva. Il filo che unisce questa diversità di temi sta in una dichiarazione di Henry Spychalski che è possibile trovare sul bandcamp degli HMLTD: “Ci viene detto di credere che ansia e depressione siano malattie puramente materiali e biologiche – come un verme parassita che può essere rimosso con il trattamento corretto. Penso che in realtà queste condizioni riflettano il mondo che ci circonda – come colonie che un Verme molto più grande ha nascosto in ciascuno di noi – lo scompiglio psicologico inflitto dalla nostra inesorabile realtà capitalista e dall’imminente apocalisse che ha generato.”

L’aspetto musicale dell’album è altrettanto centrato, se non di più. Gli HMLTD (che sta per “Happy Meal Ltd.”) sono riusciti a sublimare in quaranta minuti una serie infinita di influenze amalgamandole in qualcosa di veramente nuovo. Si sentono gli echi del post-punk britannico (il tastierista Seth Evans del resto suona dal vivo con i Black Midi) ma anche molti riferimenti allo stile delle opere rock del passato, tutti però messi al servizio di una serie di brani perfettamente costruiti e prodotti con grande cura.

Certamente The Worm è un disco pieno di suoni, a volte ricchissimo. Ci troviamo a cantare in un coro battiatesco “And we’re living in the belly / Of a worm inside the man / And the man’s inside the Worm”, a ballare su un pezzo a metà fra i New Order e i Radiohead come Saddest worm ever, a struggerci di fronte alla perdita dell’amore in Days. Nei sette minuti di Past Life viene ripreso esplicitamente l’ostinato di pianoforte del gospel Sinnerman, portato al successo dalla versione incredibile di Nina Simone, per sottolineare la crisi di fede del protagonista che si scioglie poi nella pace della vittoria o della rassegnazione nel finale di Lay me down.

Nonostante i limiti dovuti alla quantità di temi condensati in pochissimo tempo The Worm è già, per me, uno dei dischi dell’anno. Possiede la qualità meravigliosa di diventare più interessante a ogni ascolto, svelando sempre qualcosa di nuovo e diventando più orecchiabile e divertente ogni volta che lo si mette sul piatto. E’ inoltre l’ennesima prova di come l’etichetta di “post punk” appiccicata ai gruppi britannici che stanno innovando il rock (parlo di Black Midi, Squid, BCNR, Yard Act ecc.) sia sempre meno un riferimento stilistico preciso e sempre più una specie di marchio di qualità, il simbolo di una attitudine a fare le cose in modo nuovo, proprio come fu per i gruppi prog europei dei primi anni settanta.

All’interno di questa scena gli HMLTD danno secondo me una grossa spallata con The Worm, rivendicando uno spazio tra i nomi più interessanti. Forti di una immagine molto riconoscibile, che unisce una componente visiva marcata (vedi i tre video finora usciti per presentare l’album) e un ostentato disprezzo per l’immagine classica e patriarcale del maschio occidentale, speriamo siano solo all’inizio di un percorso lungo e luminoso.

Se volete ascoltare l’album dall’inizio alla fine, con i testi sottomano, lo trovate sul canale youtube della band.

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