Ieri Elia ha chiesto a una nostra amica di raccontargli una storia. Di solito fa così: chiede una storia che abbia come protagonista un bambino il cui nome è composto da un oggetto (per esempio ScatolElia, oppure SediElia, a seconda di cosa vede intorno a sé o di cosa si è parlato poco prima) e l’adulto che è con lui deve iniziare la storia. “C’era una volta un bambino di nome xxxxxElia”. Poi ci pensa lui a dare delle imbeccate, in una specie di bellissimo gioco di ruolo. La persona che era con lei ieri però non conosceva questa pratica abituale e alla richiesta di “Raccontami la storia di FinestrElia” ha risposto “mi dispiace, non la so”
A quel punto Elia ha ribattuto con una frase canticchiata, a mo’ dei motivational che insegna Daniel Tiger negli omonimi cartoni animati. Le ha detto “Se non dici le cose non sai cosa sono”. La frase originale, nel cartone, era “Se non assaggi le cose non sai come sono”, lui l’ha piegata a quello che capisce lui del mondo.
E quello che capisce lui del mondo, stando a questa frase, è davvero interessante. Chiaramente un bambino di due anni non è un filosofo ma “se non dici le cose non sai cosa sono” spiega comunque qualcosa di come funzioni la mente di un bambino alle prese con una lingua e un mondo da imparare e da conoscere. Che cos’è un oggetto o un concetto finché non lo nomini? Esiste? Per lui quanto è importante definire le cose? E quando usa le parole che non conosce (e succede di continuo, come è normale che sia) cosa significa di preciso per lui? Qual è il potere del logos nei confronti della realtà?
Domande che rimarranno senza risposta, dato che chiederglielo non avrebbe senso. Rimane però l’intuizione che il linguaggio sia davvero qualcosa di molto importante per un essere umano in formazione, anche quando ha un lessico limitato come può averlo un bambino della sua età.
“Se non dici le cose, non sai cosa sono”. Vedrò di ricordarmene.
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