L’egemonia culturale dei cinquantenni

Con un amico si discuteva riguardo ai classici.
Lui, nato negli anni cinquanta, da ragazzino guardava i film di John Wayne girati dieci anni prima e gli sembravano vecchissimi. Però li guardava lo stesso, perché erano dei classici: e il numero di classici del cinema con i quali mettersi al passo era tutto sommato limitato.

Per me, nato trent’anni dopo, essere al passo è quasi impossibile. Ogni tanto qualcuno mi dice “non hai visto quarto potere?” oppure “non hai visto Taxi driver?” e fa quella faccia che significa “ah beh, allora cosa sto qui a parlare di cinema con te…”

pirateLo stesso vale per la musica, la letteratura, qualunque campo del sapere umano. Da quando c’è la possibilità di riprodurre opere del passato si dà per scontato che chi parla di un certo ambito artistico ne conosca i fondamentali: se parli di pittura saprai come dipingeva Van Gogh, o almeno lo conosci, e se parli di cinema avrai visto almeno i film di Wells. Se parli di musica avrai sentito “almeno i 100 dischi fondamentali del rock”. Ma i dischi fondamentali sono solo 100? Basta aver visto Wells per capire qualcosa di cinema? Certo che no. E sono entrambi presupposti fondamentali per un’opinione attendibile? Certo che no.

Il risultato di queste aspettative è l’egemonia culturale dei cinquantenni: chi è nato in un periodo in cui ci si poteva mettere al passo e poi ha seguito le evoluzioni delle varie arti – ma vale anche per la storia e l’attualità – fa valere la propria superiore conoscenza di fronte agli interlocutori più giovani. Se non conosci i fondamentali non hai diritto di parola, e i fondamentali aumentano di giorno in giorno.

La verità è che ci sono autori dell’ottocento che al tempo erano celeberrimi ma nessuno legge più e ci saranno registi del novecento – ora ritenuti fondamentali – i cui film verranno presto dimenticati. Siamo schiacciati tra l’incudine della disponibilità infinita di opere d’arte e il martello della piccola distanza da esse, in uno spazio angusto nel quale cerchiamo di aggiornarci su tutti i fronti per non perdere né l’ultima novità né il “grande classico senza tempo”. A questo si aggiunge la mancanza di scontro generazionale, per cui i figli vanno a vedere i Rolling Stones al Desert Trip con i padri oppure vanno con loro in biennale e a vedere il nuovo film di Abrams o Iñárritu.

E alla fine chi è nato dopo il 1980 resta fermo, ad annaspare, in perenne difetto su tutto. A meno che non trovi il coraggio di alzarsi, mandare tutto a quel paese, e andare dove lo porta la propria sensibilità. Come facevano i padri, anche se non se lo ricordano. Perché è giusto che un giorno i nonni possano dire ai nipoti: “ma li conosci i dischi di Van Morrison? Guarda che sono fon-da-men-tali!” e i padri possano sussurrare “Tranquillo, lo sai com’è il nonno, puoi campare anche senza Van Morrison. Ascolta i Wovenhand, quella è roba seria.”

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