“Venezia, si diceva attraversando i ponti del Rio de la Sensa, è la città travestita. Tutta la città si erge, come una drag queen, sui tacchi fragili delle fondazioni. L’intera città è una protesi che il desiderio solleva sulla laguna. Venezia emerge, come il corpo trans, dal desiderio di vivere e di esistere a dispetto della diagnosi architettonica, medica e religiosa in base alla quale “questo luogo non è appropriato alla costruzione di una città. Nessuna città dovrebbe essere costruita su lagune paludose, né su sabbie mobili, non si dovrebbe costruire su questo insieme di acqua marina e fluviale. Non si dovrebbe vivere in un’atmosfera propizia alla febbre, alle epidemie e ai contagi”. (…)
Ed è in questo luogo proibito, su un terreno dove non è appropriata la fondazione di una città, che la meraviglia è stata costruita. Venezia è la città fuori norma, anzi è il luogo dove le regole di vita devono essere abolite e reinventate. La specificità di Venezia non sta solo nel contraddire in permanenza la sua impossibilità di esistere, ma che riesca a farlo non attraverso la forza ma attraverso un’esaltazione poetica della sua fragilità. Se i castelli e le fortezze sono chiamati ad affermare la loro sovranità e la loro virilità, Venezia è un corpo maschile trasformato in corpo femminile: è un insieme di operazioni che hanno reso possibile questa trasformazione che ammiriamo oggi come un’opera d’arte.
(…)
Venezia è la maschera diventata pelle. È il teatro trasformato in città.”
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