2019-12-19T08:12:32.000Z

Uno strato spesso ci chiude il cielo
e tutto è rivelato: l’albero di giuda
spoglio nel giardino, la solitudine del cane,
l’agrifoglio rosso che guida lo sguardo nella fratta.
Siamo chiusi qui dentro noi, che aspettiamo qualcosa,
il compimento del nostro tempo forse, forse la fiammella
che pure tiene nello spiffero invernale. Fa male
certe volte sapersi vivi, così esposti al lato d’ombra
inadatti, distratti, diseguali, giusto un po’ troppo, o appena meno.
Non proprio fuori del secolo, ma appena, un poco,
a lato. Il volto sfocato della foto, quello che s’è girato,
che è venuto non proprio male, ma gli occhi erano chiusi.
Come sarà il tempo a venire? Nevicherà? Avremo figli?
Barcollano i palazzi nel buio, le ombre
li divorano piano. Avevamo un’altra idea degli eroi
che non queste tiepide case. Dai vetri spiamo
i passanti. Un forestiero che ama la città, i bui
tra l’uno e l’altro lampione. È questo quello che siamo?
Perdersi, stupire, essere come possiamo.

Azzurra D’Agostino (Porretta Terme, 1977), da Alfabetiere privato (LietoColle-Pordenonelegge, 2016)

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