deKconstruKction

Comprai The ConstruKction of Light in un negozio di dischi a Firenze, in zona San Marco. Ero in gita in terza superiore, nella primavera del 2001 e avevo visto i King Crimson per la prima volta quasi un anno prima, il 20 giugno 2000.
I soldi a disposizione erano pochi per me all’epoca, quindi in quell’anno mi ero concentrato sull’accaparrarmi quanti più dischi dei Crimso possibile ma tutti rigorosamente nei negozi dei dintorni, dove Tcol non si trovava. Avevo reperito THRAK, Three of a perfect pair, forse anche Larks’. Ma niente tcol, del quale ero però avido: mi ero documentato su http://www.elephant-talk.com/ e sapevo che quello era IL disco della band che avevo visto. Dovevo averlo.

In gita avevo qualche soldo in più, che i miei genitori mi concedevano per spese straordinarie e impreviste, quindi ne approfittai e comprai Tcol in un negozietto che non ricordo, a Firenze. Però ricordo il momento in cui tolsi il nylon dal disco, seduto su una panchina in piazzetta San Marco, di fronte alla chiesa. Per fortuna i miei amici erano music-heads quasi quanto me, quindi non si saranno stupiti più di tanto nel vedermi autisticamente isolato per qualche minuto e immerso in questo libretto oscuro.

Dopo aver scartato il CD, volli ascoltare una canzone, solo una. Chiesi a un amico il suo lettore CD portatile e mi infilai gli auricolari. La canzone in questione era The construKction of light parte 2, fortunatamente il brano più breve del lotto. Mi premeva di ascoltarla perché l’avevo riascoltata, dopo il concerto dell’anno prima, ma mai nella sua interezza. Come mai? Perché erano i tempi, avventurosi e terribili, di Napster.
Napster venne come una manna dal cielo per noi adolescenti squattrinati, ma il digital divide all’epoca era cosa seria. Così io inforcavo il Ciao e – munito di una spanna di floppy disk da 1.44Mb – me ne andavo da un amico che abitava a 7km da casa per sfruttare la sua connessione ISDN, anzi quella dei suoi genitori. Mentre guardavamo film, uscivamo o leggevamo fumetti (ma studiavamo mai? Boh) il buon Napster FORSE avrebbe iniziato a scaricare quel file da quel singolo utente dal quale ti eri messo in coda. E forse – ma la probabilità era davvero bassa – avrebbe anche finito di scaricarlo prima che arrivasse l’ora di anmaxresdefaultdare a casa.
Nella maggior parte dei casi questa serie di coincidenze non avveniva e me ne tornavo a casa con delle canzoni monche, zippate nei fallaci floppy. Nella fattispecie, una volta riuscii a tornare a casa con mezza “The construKction of light parte 2”: quando la sentii mi tornarono sulla pelle i brividi del concerto: la ascoltavo in loop nonostante durasse poco più di un minuto e mezzo e finisse in modo quantomeno brusco. Notare che una volta a casa, dato che il mio PC non era abbastanza svelto da leggere gli mp3, convertivo i file in WAV che però occupavano un sacco di spazio, quindi potevo sentire non più di 4-5 canzoni alla volta, per poi cancellare i file e convertirne altri.

In questi giorni, dopo il post di Singleton nel quale sono state citate le parti di batteria “””smarrite””” di tcol, sul guestbook di Elephant Talk si è scatenata una discussione vecchissima: Tcol gran disco, Tcol ciofeca, Tcol invecchiato male, Tcol invecchiato bene, Doppio Duo spakka, Doppio Duo suca. Cose sentite cento volte: The construKction of light è il disco che divide il pubblico crimsoniano più di qualunque altro. Certo, viene da chiedersi come mai Bruford in Clouds about mercury avesse dei suoni decenti di batteria elettronica 1987 mentre Mastelotto nel 2000 no e ora anche a me Tcol suona datato, soprattutto nei preset di batteria e in quel rullante inaudibile, ma ricordo bene quel concerto del 2000 e la sensazione che provai: era roba mai sentita prima.

Mi piaceva The construKction of light, e mi piace ancora. Mi piace quel suo essere avventuroso in modo naïf, il non dover essere necessariamente “avanti” rispetto a tutto ma poter essere anche laterale, esplorare una strada che non è un solco nel quale andranno ad infilarsi generazioni di band (come fu per Red, ad esempio) ma anche solo una strada che è quella dei Crimso, in quel momento. E percorrerla fino in fondo, con convinzione. Anche se nessun altro la farà più. Mi piace anche l’estetica del doppio duo in quel periodo, un’estetica profondamente oscura e criptica. Le immagini del libretto di Tcol sono ambigue, distorte, ricordano più Peter Gabriel IV che qualunque album dei Crimso precedenti. Mi piacciono i rimandi a Red, a Larks’, a Fracture, perché sono delle brìcole che segnano il percorso dell’ascoltatore e non degli appigli per la nostalgia: non c’è niente di nostalgico in Tcol, tutto è dirompente.

È l’unico disco di un’intera discografia a non avere nemmeno mezza ballad nonché l’unico con un uso così vasto e seriale degli effetti sulla voce, al posto di quell’orribile eco che c’era su THRAK, e che infatti Jakko ha segato con il nuovo remix. Tcol rappresenta un unicum anche perché è il disco che unisce l’esperienza dei ProjeKcts, la frattalizzazione e quattro anni di improvvisazione, con il songwriting Fripp/Belew. Vale la pena di ricordare che Belew stesso era presente solo nel P2 (e, successivamente, nel PX e nel P6) ma alla batteria, quindi in qualche modo i ProjeKcts sono stati un laboratorio di scrittura creativa, una serie di percorsi nei quali Fripp ha composto estemporaneamente, ma non sempre, musica con i vari Gunn, Levin, Mastelotto, Bruford, e Belew alla batteria. I frutti di questo periodo si sentono in Tcol, che a livello compositivo va a parare in ambienti ben distanti da quelli del doppio trio. ProjeKction diventa Frying Pan, ConstruKction viene distillata in Tcol. Ci si poteva legittimamente aspettare anche di più, da questo tirare-le-somme dell’esperienza ProjeKct, ma forse stiamo semplicemente pensando con il senno di poi che allora non c’era. Il projeKct X e le improvvisazioni che venivano proposte live all’epoca del tour di Tcol ci raccontano come forse Fripp non avesse affatto in mente di chiudere l’esperienza projeKcts a quel punto, o più semplicemente che non avesse idea di dove sarebbe andato a finire. Di fatto invece, eccezion fatta per il P6 e le date di apertura ai Porcupine Tree nel 2006 e per la (s)fortunata data del ProjeKct three ad Alexandria nel 2003, il ProjeKct X (ovvero il Double Duo in configurazione improvvisativa) sarebbe stato l’ultimo ProjeKct a calcare le scene.

E qui entriamo in un altro terreno, ovvero il live. Il Double Duo in quel periodo riuscì a tornare ad un livello di inventiva live che non veniva toccato dai Crimso dai tempi del tour ’74. Per me che li vidi completamente a digiuno, nel 2000, era assolutamente impossibile capire che parte di ciò cui stavo assistendo fosse improvvisazione: lo scoprii poi, documentandomi, esattamente come capitava ai fortunati spettatori dei concerti del 1972/1973. Le improvvisazioni del tour del 2000 erano inventive, diversificate, dinamiche, estroverse, potenti. Aggiungevano davvero qualcosa allo show e dimostrano quanto il doppio duo potesse essere, e di fatto fosse, un gruppo estremamente affiatato e coeso nonché una macchina da composizione estemporanea.

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Le liner notes di produzione del DVD “random” di Eyes Wide Open, da parte di uno stressato David Singleton

Non so quanti di voi abbiano il doppdio DVD Eyes Wide Open. Spero molti. Ad ogni modo il set, uscito nel 2003, è composto da due DVD. Nel primo c’è un’esibizione integrale a Tokyo del 2003: ottima scenografia, setlist, performance. Nel secondo DVD invece c’è qualcosa di particolare, ovvero la registrazione di un concerto di Londra del tour del 2000 intervallata da improvvisazioni “casuali” registrate nel corso del tour. Questa particolarità permette di ricreare in qualche modo quella che era la specificità del tour, ovvero il fatto che non fosse possibile per l’ascoltatore sapere se quella che stava sentendo fosse l’introduzione di qualche brano oppure una vera improvvisazione che stava per nascere; la trovo una pensata geniale ed è per questo che ho questo DVD originale (l’unico DVD originale dei Crimso in mio possesso) perché devo dire che funziona. Provare per credere. La transizione tra i brani “normali” e le improvvisazioni è scorrevole e funziona bene anche perché la qualità del girato video è inferiore rispetto a quella dei DVD musicali ai quali siamo abituati: poche telecamere in punti strategici che zommano da lontano sulla band, pochissima luce sul palco. Il tour del 2000 era così, oscuro e con l’unica scenografia di un velo bianco (dipinto di volta in volta di azzurro, arancio, rosso dai fari) orizzontale sul retro della band. Nelle date outdoor, come fu quella del Vittoriale in Italia, nemmeno quello. Tra una canzone e l’altra l’oscurità era praticamente totale, il che ovviamente torna a vantaggio del fade-out/fade-in tra canzoni e improvvisazioni nel DVD. Tocco di classe, anche The deception of the thrush è inclusa nel DVD in diverse versioni e ogni volta che lo si guarda viene inserita una versione differente.

Se la scenografia è oscura la setlist non lo è da meno: nessun brano antecedente al 1995 ad eccezione della versione acustica di Three of a perfect pair (del solo Adrian) e della cover a mio avviso assolutamente inutile di Heroes. Quella che non è oscura, anzi brilla di luce propria è la voglia della band di suonare e di gettarsi sul nuovo materiale: i suoni sono plasticosi dato che Mastelotto suona solamente percussioni elettroniche, ricordandosi i preset giusti per ogni sezione di ogni canzone, ma l’energia che sprigionano è infuocata, calorosa. In questo senso la copertina di Heavy ConstruKction, il triplo live che immortala le performances di quel tour, è perfetta nel suo ritrarre una fucina industriale oscura e crepuscolare.

Insomma, questo per dire che Tcol sarà pure il disco più discusso dell’intera produzione Crimsoniana, sarà pure un album con dei suoni difficilmente ascoltabili e invecchiati male, sarà pure un disco tenebroso e pesante che quando è finito non lo rimetti mai su dall’inizio, però è anche un album che testimonia un periodo in cui il carrozzone Crimso ragionava in modo molto diverso da ora: nessuno sguardo sul passato, entrambi i piedi lanciati nel futuro e nell’ignoto. Un’attitudine che, pur con tutte le meraviglie dell’attuale Crimso a sette teste, un pochetto mi manca.

PLAY IT FOR ME, SPIDER FINGERS!!!

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