September 05, 2018 at 09:52PM

“Quisanet, sua moglie, lo guarda con ammirazione e tenerezza, abbassa lo sguardo ogni volta che lui pronuncia parole dolorose e le lacrime si affacciano sulla superficie trasparente dei suoi occhi. Quisanet ha incontrato Giona a Khartoum, in Sudan, e lì ha deciso di sposarlo e di proseguire il viaggio insieme con lui.

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Giona ha studiato, ha 24 anni ed è partito dall’Eritrea nel 2016. Era cadetto nella scuola militare, ma è scappato perché era orfano di madre e primogenito di una famiglia numerosa. “Mio padre era malato e la famiglia aveva necessità che io lavorassi: sono tornato a Tessenei, per un periodo ho lavorato in nero con dei commercianti sudanesi che facevano import-export, poi ho temuto che le guardie del regime di Isaias Afewerki mi trovassero e mi mettessero in prigione perché ero disertore e quindi ho deciso di scappare”

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“Abbiamo visto l’inferno, ma siamo stati testimoni anche di miracoli”, esclama a un certo punto Giona. Due donne hanno dato alla luce dei bambini nel primo bunker. “Nel buio, mentre tutti noi non potevamo fare altro che pregare, le donne partorivano i loro figli”, racconta Giona. “Non so come abbiano fatto”. Tuttavia, forse a causa delle scarse condizioni igieniche, entrambi i neonati sono morti dopo poche settimane.

“La pelle dei bambini s’infiammava, forse la mancanza d’igiene e di luce e la vicinanza con i corpi degli adulti gli provocava delle infezioni”, racconta Quisanet che prende coraggio per raccontare uno degli spettacoli più terrificanti a cui ha dovuto assistere. Piega il capo e nasconde la testa tra le mani mentre racconta.”

Link: Reclusi sottoterra in Libia, le storie dei migranti della Diciotti

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