2019-03-21T16:52:25.000Z

“«Mi chiamo Bakary e vengo dal Gambia. Prima di partire facevo l’autista di autobus», racconta a Open, attraverso la voce di Giulia Sezzi, Guest Coordinator di Mediterranea Saving Humans. Il suo viaggio è iniziato quasi cinque anni fa. «In un anno ho attraversato Senegal, Burkina, Algeria e poi sono arrivato in Libia. Ho passato quattro anni della mia vita in Libia, venivo trasportato da un campo di detenzione all’altro».

Racconta con lucidità quello che ha passato: «Mi vendevano come schiavo. Passavo da una prigione all’altra dove mi tenevano ai lavori forzati», dice Bakary. E prosegue: «Eravamo in tanti, non ci davano mai acqua e cibo. Quando io e i miei compagni siamo stati male, febbre e solo Dio sa che altro, i libici ci davano alcune medicine che venivano dall’Europa. Ma senza acqua e cibo non potevamo prenderle. Ho visto, ricordo bene i loro volti, 50 persone morire di fame davanti ai miei occhi».

E sulle traversate del Mediterraneo: «Ho provato cinque volte a lasciare la Libia e solo l’ultima volta ci sono riuscito e ci tengo a raccontare ai giornalisti quello che succede. C’è complicità tra la guardia costiera libica e i trafficanti di essere umani». Come può esserne certo? «Tra le varie cose, ce n’è una che fa capire esattamente cosa succede sulle coste della Libia. E a me è successa quattro volte, non una, quattro volte. La mia famiglia in Gambia pagava i trafficanti nei centri affinché mi rilasciassero e mi facessero partire su uno dei loro gommoni. Quando la guardia costiera ci intercettava, ci riportava esattamente nello stesso campo dal quale ero partito e tornavo prigioniero degli stessi trafficanti. Era un meccanismo quasi automatico». Sul suo corpo, i segni di quelle violenze. «La quinta volta ho incontrato la nave Mare Jonio». Bakary non parla esplicitamente di aver temuto per la sua vita, ma «Le torture che ho subito, i lavori forzati senza mangiare mai niente, la vera fame e la vera sete, solo Dio sa cosa ho passato», racconta, «mi hanno venduto più volte come schiavo per i lavori forzati e, se protestavo, mi picchiavano e mi torturavano».

«Il mio più grande sogno si era trasformato nel voler fuggire dal terrore libico, vivere come si vive in Libia non è qualcosa di umano», racconta. Adesso Bakary sembra più sereno: «Questa tappa mi rende molto più tranquillo. E qui mi apro anche ai giornalisti perché gli italiani sappiano che quello che succede in Libia non è umano. Deve essere divulgato. So che non sarà facile nemmeno qui in Italia, la procedura per i documenti. Il mio viaggio continua. Ho dei famigliari in Germania, vorrei raggiungerli. E spero che un giorno la mia compagna in Gambia possa arrivare in Europa e potremo vivere insieme una vita normale».” Link: Mare Jonio, la storia del giovane migrante rispedito quattro volte in Libia

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