2019-09-18T11:06:28.000Z

«La caratteristica della nostra esperienza rispetto a quella spagnola, che è nata in una residenza sanitaria, è che il nostro coro è decontestualizzato rispetto all’ambiente medico, clinico, in modo da far vivere al malato e al suo familiare una esperienza bella ed emotivamente forte con ricadute positive sull’ aspetto cognitivo togliendo ogni etichetta». I risultati, sottolinea, sono molto incoraggianti: «C’è una ricaduta sulla qualità della vita, sul tono dell’umore e della capacità di partecipazione alle attività. C’è un netto miglioramento nella qualità della relazione con gli altri: cantare in coro è mettere in gioco se stessi in maniera armonica. Il nostro tentativo è ambizioso: cercheremo di creare un vero format di intervento terapeutico, per potere replicare questa esperienza altrove. Non è solo una bella avventura: vorremmo rendere manifesto l’impatto clinico di questo intervento»

«Abbiamo osservato che c’è un cambiamento nel tono dell’umore da quando entrano a quando escono. L’esperienza del coro in loro è ricordo che resta. Al loro neurologo raccontano la canzone del coro, il coro del mercoledì: è una costante importante anche in chi non ha più potuto partecipare. Questo ci dice che stiamo lavorando su aspetti profondi che nell’immediato si manifestano con miglioramento di umore e partecipazione, ma che hanno risvolti che non sappiamo spiegare che lavorano su piani più complessi» Link: Malati di Alzheimer e caregiver in coro per riannodare i fili della memoria – La Stampa

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